AVANTI SAVOIA. UNA FOTOGRAFIA DELLA REGIONE.
di LUCIO FOSSATI - 18 giugno 2019
NERE si stagliano le falesie di roccia madre. GRIGIE veleggiano le nubi pennellate sul grigiore acquarellato del cielo. VERDE increspa la vegetazione, intensamente modulata dal fondovalle fin sotto le vette. E poi BIANCHEGGIANO le cime più alte ancor innevate, ma ancor di più BARBAGLIANO le continue cicatrici franose, che smascherano la fragilità di questi giganti severamente immoti.
Sui contrafforti originati dalle frane più antiche resiste da tempo immemore la viticoltura. Viti scampate negli ultimi decenni alla difficoltà di remunerare adeguatamente la lavorazione di pendii durissimi e alla richiesta turistica (da weekend sciistico) di vinelli economici, meglio se da vitigni internazionali.
E così, come per tante altre zone, anche in Savoia si è assistito a un progressivo abbandono in altura di varietà autoctone, spesso allevate ad alberello, in favore di una diffusione nel fondovalle di pinot nero, gamay e chardonnay in tante file a spalliera potate a guyot, ordinatamente diserbate e prigioniere di una viticoltura convenzionale poco ragionata.
Oggi si contano 550 coltivatori, che contribuiscono a una produzione complessiva annuale di 120.000 ettolitri, su una superficie di 2000 ettari vitati. Vini in gran parte diluiti, zuccherati e abbondantemente solfitati.
Resistono tuttavia anche alcuni produttori convenzionali estremamente rigorosi e, a noi più cari, un paio di dozzine di produttori in “bio” artefici di vini sorprendenti. Non mancano neppure le giovani leve ad inseguire i precursori GILLES BERLIOZ, JACQUES MAILLET, MICHEL GRISARD, PASCAL QUENARD. Interpreti che hanno invertito la rotta con il recupero delle parcelle in altitudine, in alcuni casi completamente reinstallate, in altri casi salvando porzioni dove dimoravano piante ultracentenarie di mondeuse, persan, altesse e jacquere. Lavoro durissimo, vuoi per le inclinazioni delle erte, vuoi per la natura pietrosa del suolo, vuoi per la tenacia delle radici selvatiche in terreni mediamente molto poveri con pochi centimetri di limo o argilla da strappare al bosco.
IL CLIMA
Le condizioni climatiche sono molto più favorevoli di quello che sarebbe lecito attendersi da un dipartimento alpino che ha una quota altimetrica media di 1500 metri/slm. I massicci circostanti schermano le valli vitate, che sono per lo più orientate a nord-est e sud-ovest. Il soleggiamento medio rilevato parla di 1874 ore di luce ma, come sottolinea il Grand Atlas* a cura dell'accademia Benoit, la maggior parte dei vigneti storici non subisce il cono d'ombra mattiniero e serale creato dalle montagne circostanti, toccando le 2000 ore di sole. Inoltre secondo l'indice Winkler, che somma le temperature medie nella stagione della crescita delle piante, dal debutto di aprile alla fine di settembre, le 1373 ore di sole di questi declivi sono decisamente superiori alle 1113 dell’Alsazia o alle 1169 della Champagne.
I SUOLI
Su terreni mediamente sciolti, i 1200 mm di pioggia annuale drenano piuttosto facilmente, concorrendo a creare un ambiente giusto per una viticoltura di qualità. Più che verso la rigidità del clima, la totalità dei vignaioli intervistati ha mostrato preoccupazione per la tendenza al riscaldamento degli ultimi anni, e ha rinforzato la convinzione dell'ineluttabilità del percorso “bio” per preservare, partendo dal terreno, la freschezza, ovvero la cifra identitaria dei vini savoiardi. L’altitudine degli impianti gioca, in questo senso, un ruolo fondamentale. Purtroppo tanto lavoro è ancora da fare, in quanto quasi ovunque i vigneti che fino ai primi del Novecento s'inerpicavano sopra quota 1000 metri, nel contesto di una policoltura di sussistenza, sono scivolati tra le due guerre tra i 600 ed i 300 metri/slm.
I suoli sassosi sono principalmente provenienti dall'erosione di morene, in rari casi da affioramenti calcareo-argillosi e marnosi Kimmeridgiani (Chignin e Jongieux), oppure scistosi (Cevins), oppure da terrazzi fluviali (Ripaille). Particolarmente giovane è il suolo di Abymes ed Apremont, provenendo da un’enorme frana del 1284, che ha staccato 23 km quadri di detriti calcareo-marnosi dal monte Granier, travolgendo sei villaggi.
LA CLASSIFICAZIONE
La classificazione vanta tre appellazioni e una ventina di indicazioni complementari: 1) Vin de Savoie, con 16 indicazioni complementari, in bianco e in rosso. 2) Seyssel, con 3 indicazioni complementari, solo in bianco. 3) Roussette de Savoie, con indicazioni complementari, solo in bianco.
I VITIGNI
Tra i vitigni la jacquere occupa quasi la metà del vitato, poi la roussette (o altesse) con il 12%, quindi la mondeuse, il bergeron (o roussanne), il persan, lo chasselas ed infine gli internazionali gamay, pinot nero, chardonnay e così via.
In Savoia capita spesso di trovarsi di fronte ad un produttore che realizza 8/10 etichette con 10.000 bottiglie…ma d'altronde tutti coltivano almeno 5/6 vitigni e vinificano le singole parcelle che sono spesso dei fazzoletti di eredità familiare, originariamente destinati all'autoconsumo.
La JACQUERE da un vino bianco poco alcolico che vive di acidità malica e cova una sfumatura tannica. Lo connotano impressioni agrumate, sentori affumicati ed una salinità asciutta. La ROUSSANNE in gioventù viaggia quasi sempre a due cilindri: entra morbidamente espansiva, ti frastorna di fiori e poi, sul più bello, il sapore stacca e va un attimo in vacanza, prima di una chiusura sottilmente sapida che ti suggerisce di tornarla a trovare più avanti nel tempo. L'ALTESSE è un vino “di fibra”, più sensazioni fruttate dolci ed agrumate, ma soprattutto una spaventosa progressione acida che si galvanizza nell'abbraccio minerale.
Il PERSAN è un vitigno rosso rustico, precoce, dalla tendenza riduttiva, che amoreggia coi suoli poveri. La sua compiutezza tannica è sempre un enigma di difficile decifrazione, anche se la selvaticità della trama tannica è percettivamente attutita da una grana piuttosto smussata.
La MONDEUSE è uno dei miei coup de coeur. È un vino di volumi impalpabili, dotato di un’anima fruttata scura, che ti entra dentro sommessamente, senza annunciarsi, esprimendo una emotività ancora più potente nella sua apparente quiescenza. Carnoso, ma non muscolare, dotato di un'ossatura leggera e trasparente, la sua forza sta nella sua fragilità. L’eleganza dei grigi.
I PRODUTTORI VISITATI
ADRIEN BERLIOZ (CELLIER DES CRAY) – CHIGNIN: 6 ettari per 20.000 bottiglie prodotte in 14 etichette. Biodinamico.
Vini scattanti e reattivi, che attingono grandi profondità. Maturità fenoliche e zuccherine che non dissipano neanche un soffio di vitalità. Densità fruttate innervate di mineralità. Etichette buone oggi ma probabilmente buonissime domani.
Menzione d'onore e schede descrittive: Zulima (altesse), Marie Clothilde (mondeuse) e Cuvée Octavine (persan).
DOMAINE DES ARDOISIÈRES - CEVINS: 16 ettari di proprietà per 60.000 bottiglie, suddivise attualmente in 6 etichette. Biodinamico.
BRICE OMONT è un gerente dotato di visione chiara e comunicazione franca. I suoi vini sono trasparenti, imperniati sulla spina acido-salina, ma con uno sviluppo di sapore sempre molto coerente. Uno stile all’insegna dell’eleganza e di una precisione cristallina, e forse per questo un po' distanti da certe puteolenti lozioni che furoreggiano nei covi di hipsters biointegralisti in quel di Parigi, Bruxelles, Londra. Ce ne faremo una ragione e soprattutto, quando li troveremo, continueremo a berne in quantità per verificare se con l'età si rilassano un po'.
Menzione d'onore e schede descrittive: Quartz (altesse), Amethyste (persan 60, mondeuse 40).
DOMAINE DES CÔTES ROUSSES - SAINT JEAN DE LA PORTE: 6 ettari per 27000 bottiglie in 12 etichette. Biodinamico.
NICOLAS FERRAND è un ragazzo dal piglio energico e i suoi vini ne sono la diretta trasposizione. Tanti vitigni, tante parcelle, tante vinificazioni micro-parcellari, tanti materiali di fermentazione di affinamento, ma un’unica ambizione: di lasciar parlare il territorio. Lo stile è caratterizzato dal rifiuto di una cifra personale. Vini naturali, ma anche definiti, asciutti e verticali, come certe guglie dei rilievi savoiardi. Qualche rigidità qua e là che non inficia la piacevolezza di bevuta, ma tradisce la gioventù del progetto.
Menzione d' onore e schede descrittive: Armenaz (jacquere). Ensemble (altesse).
DOMAINE DES ORCHIS – FRANGY: 5 ettari per una manciata di bottiglie suddivise in 2 etichette. Biodinamico.
Vignaiolo spirituale, PHILIPPE HERITIER, vive abbracciando in toto la biodinamica. I suoi vini cristallini assorbono e diffondono luce. Gli assaggi dalle botti delle singole parcelle fotografano nitidamente i terroir d'appartenenza. Gli assemblaggi poi ingrandiscono le armonie singole in un vortice più ampio e più profondo. Ci sono anche i ricordi fruttati e la mineralità pregnante, ma soprattutto c'è energia.
Menzione d'onore e schede tecniche: Quintessence d'Altesse (altesse) e Quintessence de Mondeuse (mondeuse).
I VINI CHE CI HANNO DATO PIU' FELICITÀ
ZULIMA Roussette de Savoie 2017 Cellier des Cray
Un vettore con propulsione ad impulsi acidi. Una densità materica che ti strattona il palato. Il primo gancio ben portato sulle papille può far barcollare un bevitore frettoloso sulla rispondenza territoriale, poi la corrispondenza dell'esiguità alcolica ed il lunghissimo finale salato cantano la propria appartenenza.
MARIE CLOTHILDE 2018 Mondeuse Cellier des Cray
Vino che spacca! Come già la '17 e la '16 di cui avevamo parlato— Link!
CUVÉE OCTAVINE (persan) 2018 Cellier des Cray
Vapori di lamponi e liquirizia alla violetta, sotto un ombra di volatile. Tannino deciso, ma volteggiante fino a che, prima del commiato, non decide di coordinarsi con l'acidità picchiando duro. Astenersi è il consiglio per gli amanti dei vini morbidi e rassicuranti. Si narra di potenziale evolutivo ultradecennale, anche se reperire qualche boccia vecchia di Savoia è più difficile che ottenere l'assegnazione di DRC in Romagna.
QUINTESSENCE D'ALTESSE 2017 Domaine des Orchis
Estratto di diamante oppure quintessenza di raggi solari alpini. Vino ineffabile per la categoria dei descrittori classici. Turbini che mulinano a momenti ampli, a momenti stretti, lasciando sfuggire buccia di cedro o miele d'acacia. Inutile inseguire sviluppi lineari, meglio abbandonarsi al flusso.
QUINTESSENCE DU MONDEUSE 2018 Domaine des Orchis
Una Mondeuse più compressa nella dinamica tattile, olfattivamente un po' marcata dal debutto aromatico consueto dell’acino intero. Molto affascinante l'accenno mentolato intorno ai piccoli frutti rossi. Sapore introverso e poco articolato ma già buonissimo. Per maggiore espressività sarà necessario attendere che le parti dure si ammansiscano.
LA PENTE (jacquere) 2018 Côtes Rousses
Jacquere sopra media per vitalità. La spina salino-minerale sorregge da sola questo vino dai piccoli equilibri, che sussurra il corredo aromatico anziché urlarlo. Persiste lungo uno spazio interessante. Sfalcio montano e piccoli cristalli di salgemma possono dipingere un quadro bucolico da gita domenicale fuoriporta.
ENSEMBLE (altesse) 2017 Côtes Rousses
Dalla prefazione all'epilogo di questo vino possono trascorrere ere geologiche. Si fa quasi prima a leggere tutta la Recherche di Proust. Certamente, essendo ancora adolescente, al momento le negazioni delle parti dure serrano un po' le affermazioni fruttate del sapore; a tre quarti di bocca tuttavia si può ipotizzare una evoluzione molto interessante.
QUARTZ (altesse) 2015 Domaine des Ardoisières
Grande vino di montagna, dotato di polpa, fibra e maestoso slancio. Progressività nello sviluppo e finale di nitore straordinario. Preconizziamo una lunga storia futura per questo liquido.
AMETHYSTE (persan 60 e mondeuse 40%) 2016 Domaine des Ardoisieres
Altra istantanea montana, meno nitida ma più potentemente evocativa nella sua saturazione cromatica. C'è la parte aerea dei tannini della persan, che vorticano leggeri per poi cadere un po' rusticamente, e ci sono i tocchi di fioretto della mondeuse, che non ama lo scontro frontale. Frutti rossi e neri croccanti, petali di fiori come rosa bulgara e peonia, piccola sensazione pepata. Molto buono.
CONTRIBUTO BIBLIOGRAFICO ALL’ESPERIENZA IN LOCO:
Sui contrafforti originati dalle frane più antiche resiste da tempo immemore la viticoltura. Viti scampate negli ultimi decenni alla difficoltà di remunerare adeguatamente la lavorazione di pendii durissimi e alla richiesta turistica (da weekend sciistico) di vinelli economici, meglio se da vitigni internazionali.
E così, come per tante altre zone, anche in Savoia si è assistito a un progressivo abbandono in altura di varietà autoctone, spesso allevate ad alberello, in favore di una diffusione nel fondovalle di pinot nero, gamay e chardonnay in tante file a spalliera potate a guyot, ordinatamente diserbate e prigioniere di una viticoltura convenzionale poco ragionata.
Oggi si contano 550 coltivatori, che contribuiscono a una produzione complessiva annuale di 120.000 ettolitri, su una superficie di 2000 ettari vitati. Vini in gran parte diluiti, zuccherati e abbondantemente solfitati.
Resistono tuttavia anche alcuni produttori convenzionali estremamente rigorosi e, a noi più cari, un paio di dozzine di produttori in “bio” artefici di vini sorprendenti. Non mancano neppure le giovani leve ad inseguire i precursori GILLES BERLIOZ, JACQUES MAILLET, MICHEL GRISARD, PASCAL QUENARD. Interpreti che hanno invertito la rotta con il recupero delle parcelle in altitudine, in alcuni casi completamente reinstallate, in altri casi salvando porzioni dove dimoravano piante ultracentenarie di mondeuse, persan, altesse e jacquere. Lavoro durissimo, vuoi per le inclinazioni delle erte, vuoi per la natura pietrosa del suolo, vuoi per la tenacia delle radici selvatiche in terreni mediamente molto poveri con pochi centimetri di limo o argilla da strappare al bosco.
IL CLIMA
Le condizioni climatiche sono molto più favorevoli di quello che sarebbe lecito attendersi da un dipartimento alpino che ha una quota altimetrica media di 1500 metri/slm. I massicci circostanti schermano le valli vitate, che sono per lo più orientate a nord-est e sud-ovest. Il soleggiamento medio rilevato parla di 1874 ore di luce ma, come sottolinea il Grand Atlas* a cura dell'accademia Benoit, la maggior parte dei vigneti storici non subisce il cono d'ombra mattiniero e serale creato dalle montagne circostanti, toccando le 2000 ore di sole. Inoltre secondo l'indice Winkler, che somma le temperature medie nella stagione della crescita delle piante, dal debutto di aprile alla fine di settembre, le 1373 ore di sole di questi declivi sono decisamente superiori alle 1113 dell’Alsazia o alle 1169 della Champagne.
I SUOLI
Su terreni mediamente sciolti, i 1200 mm di pioggia annuale drenano piuttosto facilmente, concorrendo a creare un ambiente giusto per una viticoltura di qualità. Più che verso la rigidità del clima, la totalità dei vignaioli intervistati ha mostrato preoccupazione per la tendenza al riscaldamento degli ultimi anni, e ha rinforzato la convinzione dell'ineluttabilità del percorso “bio” per preservare, partendo dal terreno, la freschezza, ovvero la cifra identitaria dei vini savoiardi. L’altitudine degli impianti gioca, in questo senso, un ruolo fondamentale. Purtroppo tanto lavoro è ancora da fare, in quanto quasi ovunque i vigneti che fino ai primi del Novecento s'inerpicavano sopra quota 1000 metri, nel contesto di una policoltura di sussistenza, sono scivolati tra le due guerre tra i 600 ed i 300 metri/slm.
I suoli sassosi sono principalmente provenienti dall'erosione di morene, in rari casi da affioramenti calcareo-argillosi e marnosi Kimmeridgiani (Chignin e Jongieux), oppure scistosi (Cevins), oppure da terrazzi fluviali (Ripaille). Particolarmente giovane è il suolo di Abymes ed Apremont, provenendo da un’enorme frana del 1284, che ha staccato 23 km quadri di detriti calcareo-marnosi dal monte Granier, travolgendo sei villaggi.
LA CLASSIFICAZIONE
La classificazione vanta tre appellazioni e una ventina di indicazioni complementari: 1) Vin de Savoie, con 16 indicazioni complementari, in bianco e in rosso. 2) Seyssel, con 3 indicazioni complementari, solo in bianco. 3) Roussette de Savoie, con indicazioni complementari, solo in bianco.
I VITIGNI
Tra i vitigni la jacquere occupa quasi la metà del vitato, poi la roussette (o altesse) con il 12%, quindi la mondeuse, il bergeron (o roussanne), il persan, lo chasselas ed infine gli internazionali gamay, pinot nero, chardonnay e così via.
In Savoia capita spesso di trovarsi di fronte ad un produttore che realizza 8/10 etichette con 10.000 bottiglie…ma d'altronde tutti coltivano almeno 5/6 vitigni e vinificano le singole parcelle che sono spesso dei fazzoletti di eredità familiare, originariamente destinati all'autoconsumo.
La JACQUERE da un vino bianco poco alcolico che vive di acidità malica e cova una sfumatura tannica. Lo connotano impressioni agrumate, sentori affumicati ed una salinità asciutta. La ROUSSANNE in gioventù viaggia quasi sempre a due cilindri: entra morbidamente espansiva, ti frastorna di fiori e poi, sul più bello, il sapore stacca e va un attimo in vacanza, prima di una chiusura sottilmente sapida che ti suggerisce di tornarla a trovare più avanti nel tempo. L'ALTESSE è un vino “di fibra”, più sensazioni fruttate dolci ed agrumate, ma soprattutto una spaventosa progressione acida che si galvanizza nell'abbraccio minerale.
Il PERSAN è un vitigno rosso rustico, precoce, dalla tendenza riduttiva, che amoreggia coi suoli poveri. La sua compiutezza tannica è sempre un enigma di difficile decifrazione, anche se la selvaticità della trama tannica è percettivamente attutita da una grana piuttosto smussata.
La MONDEUSE è uno dei miei coup de coeur. È un vino di volumi impalpabili, dotato di un’anima fruttata scura, che ti entra dentro sommessamente, senza annunciarsi, esprimendo una emotività ancora più potente nella sua apparente quiescenza. Carnoso, ma non muscolare, dotato di un'ossatura leggera e trasparente, la sua forza sta nella sua fragilità. L’eleganza dei grigi.
I PRODUTTORI VISITATI
ADRIEN BERLIOZ (CELLIER DES CRAY) – CHIGNIN: 6 ettari per 20.000 bottiglie prodotte in 14 etichette. Biodinamico.
Vini scattanti e reattivi, che attingono grandi profondità. Maturità fenoliche e zuccherine che non dissipano neanche un soffio di vitalità. Densità fruttate innervate di mineralità. Etichette buone oggi ma probabilmente buonissime domani.
Menzione d'onore e schede descrittive: Zulima (altesse), Marie Clothilde (mondeuse) e Cuvée Octavine (persan).
DOMAINE DES ARDOISIÈRES - CEVINS: 16 ettari di proprietà per 60.000 bottiglie, suddivise attualmente in 6 etichette. Biodinamico.
BRICE OMONT è un gerente dotato di visione chiara e comunicazione franca. I suoi vini sono trasparenti, imperniati sulla spina acido-salina, ma con uno sviluppo di sapore sempre molto coerente. Uno stile all’insegna dell’eleganza e di una precisione cristallina, e forse per questo un po' distanti da certe puteolenti lozioni che furoreggiano nei covi di hipsters biointegralisti in quel di Parigi, Bruxelles, Londra. Ce ne faremo una ragione e soprattutto, quando li troveremo, continueremo a berne in quantità per verificare se con l'età si rilassano un po'.
Menzione d'onore e schede descrittive: Quartz (altesse), Amethyste (persan 60, mondeuse 40).
DOMAINE DES CÔTES ROUSSES - SAINT JEAN DE LA PORTE: 6 ettari per 27000 bottiglie in 12 etichette. Biodinamico.
NICOLAS FERRAND è un ragazzo dal piglio energico e i suoi vini ne sono la diretta trasposizione. Tanti vitigni, tante parcelle, tante vinificazioni micro-parcellari, tanti materiali di fermentazione di affinamento, ma un’unica ambizione: di lasciar parlare il territorio. Lo stile è caratterizzato dal rifiuto di una cifra personale. Vini naturali, ma anche definiti, asciutti e verticali, come certe guglie dei rilievi savoiardi. Qualche rigidità qua e là che non inficia la piacevolezza di bevuta, ma tradisce la gioventù del progetto.
Menzione d' onore e schede descrittive: Armenaz (jacquere). Ensemble (altesse).
DOMAINE DES ORCHIS – FRANGY: 5 ettari per una manciata di bottiglie suddivise in 2 etichette. Biodinamico.
Vignaiolo spirituale, PHILIPPE HERITIER, vive abbracciando in toto la biodinamica. I suoi vini cristallini assorbono e diffondono luce. Gli assaggi dalle botti delle singole parcelle fotografano nitidamente i terroir d'appartenenza. Gli assemblaggi poi ingrandiscono le armonie singole in un vortice più ampio e più profondo. Ci sono anche i ricordi fruttati e la mineralità pregnante, ma soprattutto c'è energia.
Menzione d'onore e schede tecniche: Quintessence d'Altesse (altesse) e Quintessence de Mondeuse (mondeuse).
I VINI CHE CI HANNO DATO PIU' FELICITÀ
ZULIMA Roussette de Savoie 2017 Cellier des Cray
Un vettore con propulsione ad impulsi acidi. Una densità materica che ti strattona il palato. Il primo gancio ben portato sulle papille può far barcollare un bevitore frettoloso sulla rispondenza territoriale, poi la corrispondenza dell'esiguità alcolica ed il lunghissimo finale salato cantano la propria appartenenza.
MARIE CLOTHILDE 2018 Mondeuse Cellier des Cray
Vino che spacca! Come già la '17 e la '16 di cui avevamo parlato— Link!
CUVÉE OCTAVINE (persan) 2018 Cellier des Cray
Vapori di lamponi e liquirizia alla violetta, sotto un ombra di volatile. Tannino deciso, ma volteggiante fino a che, prima del commiato, non decide di coordinarsi con l'acidità picchiando duro. Astenersi è il consiglio per gli amanti dei vini morbidi e rassicuranti. Si narra di potenziale evolutivo ultradecennale, anche se reperire qualche boccia vecchia di Savoia è più difficile che ottenere l'assegnazione di DRC in Romagna.
QUINTESSENCE D'ALTESSE 2017 Domaine des Orchis
Estratto di diamante oppure quintessenza di raggi solari alpini. Vino ineffabile per la categoria dei descrittori classici. Turbini che mulinano a momenti ampli, a momenti stretti, lasciando sfuggire buccia di cedro o miele d'acacia. Inutile inseguire sviluppi lineari, meglio abbandonarsi al flusso.
QUINTESSENCE DU MONDEUSE 2018 Domaine des Orchis
Una Mondeuse più compressa nella dinamica tattile, olfattivamente un po' marcata dal debutto aromatico consueto dell’acino intero. Molto affascinante l'accenno mentolato intorno ai piccoli frutti rossi. Sapore introverso e poco articolato ma già buonissimo. Per maggiore espressività sarà necessario attendere che le parti dure si ammansiscano.
LA PENTE (jacquere) 2018 Côtes Rousses
Jacquere sopra media per vitalità. La spina salino-minerale sorregge da sola questo vino dai piccoli equilibri, che sussurra il corredo aromatico anziché urlarlo. Persiste lungo uno spazio interessante. Sfalcio montano e piccoli cristalli di salgemma possono dipingere un quadro bucolico da gita domenicale fuoriporta.
ENSEMBLE (altesse) 2017 Côtes Rousses
Dalla prefazione all'epilogo di questo vino possono trascorrere ere geologiche. Si fa quasi prima a leggere tutta la Recherche di Proust. Certamente, essendo ancora adolescente, al momento le negazioni delle parti dure serrano un po' le affermazioni fruttate del sapore; a tre quarti di bocca tuttavia si può ipotizzare una evoluzione molto interessante.
QUARTZ (altesse) 2015 Domaine des Ardoisières
Grande vino di montagna, dotato di polpa, fibra e maestoso slancio. Progressività nello sviluppo e finale di nitore straordinario. Preconizziamo una lunga storia futura per questo liquido.
AMETHYSTE (persan 60 e mondeuse 40%) 2016 Domaine des Ardoisieres
Altra istantanea montana, meno nitida ma più potentemente evocativa nella sua saturazione cromatica. C'è la parte aerea dei tannini della persan, che vorticano leggeri per poi cadere un po' rusticamente, e ci sono i tocchi di fioretto della mondeuse, che non ama lo scontro frontale. Frutti rossi e neri croccanti, petali di fiori come rosa bulgara e peonia, piccola sensazione pepata. Molto buono.
CONTRIBUTO BIBLIOGRAFICO ALL’ESPERIENZA IN LOCO:
- Grand Atlas des vignobles de France (Francese) di Benoît France
- Atlas Amoureux des vignobles de France di Patrick Mérienne e Alain Creismeas
- Le Guide des Milleurs Vin de France – La Revue du Vin De France