BOLGHERI SUPERIORE ORNELLAIA IN VERTICALE, POTENZA ED ELEGANZA
di VITALIANO MARCHI - 04 giugno 2016
Nata nel 1981 dalla divisione ereditaria di terreni della famiglia Antinori, la Tenuta dell’Ornellaia inaugura il percorso professionale in solitaria del Marchese Lodovico. Un percorso che strizza l’occhio al modello californiano della Napa Valley, dove sperimentazione e marketing viaggiano di pari passo per lo sviluppo di un progetto enologico che comprende, oltre alla creazione di grandi vini, l’incremento del turismo e la valorizzazione del territorio in cui è inserita l’azienda.
Viene così costruita, tra le prime in Italia, una cantina con grandi vetrate e spazi adatti ad ospitare i visitatori e, contemporaneamente, vengono chiamati enologi di fama internazionale - tra i quali Thomas Duroux (oggi a Palmer) - con lo scopo di ottenere vini che possano competere con i grandi assemblaggi del pianeta, sfruttando il particolare microclima, i terreni vocati e, soprattutto, quei vitigni internazionali che alla vicina Tenuta San Guido stavano dimostrando un perfetto adattamento al territorio bolgherese.
L’obiettivo è semplice: rendere Ornellaia una delle case vinicole di riferimento a livello mondiale.
Un obiettivo ambizioso, ma che a distanza di trentacinque anni possiamo certamente definire raggiunto. Come? sono arrivati prodotti di grande successo e nonostante la tenuta abbia cambiato più volte proprietà - passando prima ai Mondavi e successivamente ai Marchesi de’ Frescobaldi - non ha mai tradito quell’idea originale che ne aveva ispirato il progetto.
La Tenuta attualmente si estende per 192 ettari di cui circa 99 vitati. I vitigni principali sono cabernet sauvignon, merlot, cabernet franc e petit verdot, che insieme occupano il 90% della superficie vitata. Gli ettari restanti sono dedicati a sangiovese (utilizzato per Le Volte), sauvignon blanc, viognier e petit manseng. La coltivazione di ognuno di questi vitigni non è circoscritta a zone particolari della Tenuta, ma viene sviluppata creando una sorta di puzzle nelle varie parcelle per creare un blend molto variegato che tende ad esaltare il terroir e ad attenuare eccessi varietali.
I VINI DELLA TENUTA DELL’ORNELLAIA
A tenere alto il nome della tenuta ci sono due autentici “colossi” enologici come il Bolgheri Superiore Ornellaia, classico taglio bordolese e “primogenito” aziendale, e il Masseto, un merlot in purezza, conteso da appassionati e collezionisti di tutto il mondo, che si è conquistato un posto all’interno dell’elitario sistema di vendita “en-primeur” di Bordeaux.
Completano, quella che oggi è diventata un’ampia gamma, i seguenti vini: Bolgheri Rosso Le Serre Nuove, ottimo secondo vino in puro stile bordolese; Le Volte, un Igt a cui il sangiovese conferisce un’ottima bevibilità; il sauvignon blanc Poggio alle Gazze; l’Ornellaia bianco, assemblaggio di sauvignon blanc e viognier; Variazioni In Rosso, un taglio bordolese riservato ai soli ospiti dell’azienda; Ornus, una vendemmia tardiva di petit manseng di limitatissima produzione.
IL BOLGHERI SUPERIORE ORNELLAIA
La prima vendemmia dell’Ornellaia risale al 1984, anche se per vederne l’esordio sul mercato si è dovuto aspettare il millesimo successivo; un esordio sicuramente fortunato che ha portato questo vino, con il millesimo 1998, ad essere giudicato il migliore al mondo dalla rivista Wine Spectator. L’Ornellaia è un puro taglio Bordolese ottenuto dalle seguenti varietà: cabernet sauvignon (45-60%), merlot (20-40%), cabernet franc (12-16%) e petit verdot (5-10%). Le varietà sono tutte vinificate separatamente e per singola parcella, con macerazioni in acciaio inox di 10-15 giorni. Normalmente si ottengono oltre sessanta vini base, i migliori dei quali, dopo 12 mesi di affinamento in barrique, vengono assemblati per comporre l’uvaggio definitivo, che viene reintrodotto in legno per ulteriori 6 mesi.
UNA DOVEROSA PREMESSA PRIMA DELLA VERTICALE
È difficile avvicinarsi ad una verticale di questo vino senza alcun tipo di pregiudizio: da una parte un minimo di timore reverenziale per un prodotto che rappresenta parte della storia enologica italiana, dall’altra tutta una serie di critiche che possono riassumersi in: “è un vino troppo muscolare, costruito per compiacere il gusto americano, di vecchia concezione”.
Al termine degli assaggi posso dire di avere trovato un vino che legge il territorio con un approccio tecnico ma non invasivo, le cui caratteristiche si possono riassumere con due parole: potenza ed eleganza.
Al primo impatto è sicuramente imperioso sia come intensità di profumi, sia come ingresso al palato. Successivamente, però, tutta la sua forza lascia spazio a una maggiore finezza che si traduce nelle migliori versioni anche in pura eleganza. Al naso basta saperlo aspettare qualche minuto per restare rapiti dalla complessità aromatica che cambia continuamente rendendolo suadente ed elegante. Al palato, superato il primo impatto quasi denso, quello che stupisce è la piacevolezza di beva. Sapidità e freschezza si alternano e si sostengono a vicenda, allungando il finale e invogliando ad un nuovo sorso. Un grande vino, dove la mano enologica non smorza mai completamente l’andamento climatico delle annate, ma allo stesso tempo ne mantiene uno stile e un carattere unici.
Viene così costruita, tra le prime in Italia, una cantina con grandi vetrate e spazi adatti ad ospitare i visitatori e, contemporaneamente, vengono chiamati enologi di fama internazionale - tra i quali Thomas Duroux (oggi a Palmer) - con lo scopo di ottenere vini che possano competere con i grandi assemblaggi del pianeta, sfruttando il particolare microclima, i terreni vocati e, soprattutto, quei vitigni internazionali che alla vicina Tenuta San Guido stavano dimostrando un perfetto adattamento al territorio bolgherese.
L’obiettivo è semplice: rendere Ornellaia una delle case vinicole di riferimento a livello mondiale.
Un obiettivo ambizioso, ma che a distanza di trentacinque anni possiamo certamente definire raggiunto. Come? sono arrivati prodotti di grande successo e nonostante la tenuta abbia cambiato più volte proprietà - passando prima ai Mondavi e successivamente ai Marchesi de’ Frescobaldi - non ha mai tradito quell’idea originale che ne aveva ispirato il progetto.
La Tenuta attualmente si estende per 192 ettari di cui circa 99 vitati. I vitigni principali sono cabernet sauvignon, merlot, cabernet franc e petit verdot, che insieme occupano il 90% della superficie vitata. Gli ettari restanti sono dedicati a sangiovese (utilizzato per Le Volte), sauvignon blanc, viognier e petit manseng. La coltivazione di ognuno di questi vitigni non è circoscritta a zone particolari della Tenuta, ma viene sviluppata creando una sorta di puzzle nelle varie parcelle per creare un blend molto variegato che tende ad esaltare il terroir e ad attenuare eccessi varietali.
I VINI DELLA TENUTA DELL’ORNELLAIA
A tenere alto il nome della tenuta ci sono due autentici “colossi” enologici come il Bolgheri Superiore Ornellaia, classico taglio bordolese e “primogenito” aziendale, e il Masseto, un merlot in purezza, conteso da appassionati e collezionisti di tutto il mondo, che si è conquistato un posto all’interno dell’elitario sistema di vendita “en-primeur” di Bordeaux.
Completano, quella che oggi è diventata un’ampia gamma, i seguenti vini: Bolgheri Rosso Le Serre Nuove, ottimo secondo vino in puro stile bordolese; Le Volte, un Igt a cui il sangiovese conferisce un’ottima bevibilità; il sauvignon blanc Poggio alle Gazze; l’Ornellaia bianco, assemblaggio di sauvignon blanc e viognier; Variazioni In Rosso, un taglio bordolese riservato ai soli ospiti dell’azienda; Ornus, una vendemmia tardiva di petit manseng di limitatissima produzione.
IL BOLGHERI SUPERIORE ORNELLAIA
La prima vendemmia dell’Ornellaia risale al 1984, anche se per vederne l’esordio sul mercato si è dovuto aspettare il millesimo successivo; un esordio sicuramente fortunato che ha portato questo vino, con il millesimo 1998, ad essere giudicato il migliore al mondo dalla rivista Wine Spectator. L’Ornellaia è un puro taglio Bordolese ottenuto dalle seguenti varietà: cabernet sauvignon (45-60%), merlot (20-40%), cabernet franc (12-16%) e petit verdot (5-10%). Le varietà sono tutte vinificate separatamente e per singola parcella, con macerazioni in acciaio inox di 10-15 giorni. Normalmente si ottengono oltre sessanta vini base, i migliori dei quali, dopo 12 mesi di affinamento in barrique, vengono assemblati per comporre l’uvaggio definitivo, che viene reintrodotto in legno per ulteriori 6 mesi.
UNA DOVEROSA PREMESSA PRIMA DELLA VERTICALE
È difficile avvicinarsi ad una verticale di questo vino senza alcun tipo di pregiudizio: da una parte un minimo di timore reverenziale per un prodotto che rappresenta parte della storia enologica italiana, dall’altra tutta una serie di critiche che possono riassumersi in: “è un vino troppo muscolare, costruito per compiacere il gusto americano, di vecchia concezione”.
Al termine degli assaggi posso dire di avere trovato un vino che legge il territorio con un approccio tecnico ma non invasivo, le cui caratteristiche si possono riassumere con due parole: potenza ed eleganza.
Al primo impatto è sicuramente imperioso sia come intensità di profumi, sia come ingresso al palato. Successivamente, però, tutta la sua forza lascia spazio a una maggiore finezza che si traduce nelle migliori versioni anche in pura eleganza. Al naso basta saperlo aspettare qualche minuto per restare rapiti dalla complessità aromatica che cambia continuamente rendendolo suadente ed elegante. Al palato, superato il primo impatto quasi denso, quello che stupisce è la piacevolezza di beva. Sapidità e freschezza si alternano e si sostengono a vicenda, allungando il finale e invogliando ad un nuovo sorso. Un grande vino, dove la mano enologica non smorza mai completamente l’andamento climatico delle annate, ma allo stesso tempo ne mantiene uno stile e un carattere unici.