CAREMA E ALTO PIEMONTE: L’ESSENZIALITÀ DEL NEBBIOLO
di FILIPPO APOLLINARI - 27 maggio 2018
All’ombra delle Langhe si celano i comprensori di Carema e Alto Piemonte. Vigneti in gran parte perduti, oggi lontani dalle luci dei riflettori, ma dal passato nobile e glorioso.
A lungo tenutari della più alta tradizione viticola piemontese, questi comprensori sono sopravvissuti a stento a una storia ostile, conservandosi artefici di nebbioli stilizzati, dalla veste cromatica tersa e spesso precocemente autunnale, segnati da acidità severe, salinità corroboranti e tannini puntellati. Vini misurati nella forma, ma tenaci nella sostanza.
Nelle righe che seguono riporto il resoconto di una lunga passeggiata nei luoghi dove nascono questi vini, tra borghi sospesi, vigne scampate al bosco e vignaioli temerari; luoghi che, nelle parole di Mario Soldati, “schivano ogni pubblicità e vogliono essere scoperti e conosciuti in solitudine, o nella religiosa compagnia di pochi amici”.
LOCALIZZAZIONE E STORIA
Siamo a un centinaio di chilometri a nord di Alba, il capoluogo delle Langhe e dei nebbioli più celebrati, quelli di Barolo e Barbaresco. Qui si trovano i vigneti di Carema e Alto Piemonte, due comprensori distanti anche negli scenari e nell’approccio alla viticoltura (basti pensare ai diversi sistemi di allevamenti della vite), ma accomunati da un carattere comune dei suoli che li allontana da quelli delle Langhe: il pH acido.
Se Carema rappresenta l’ultimo minuscolo avamposto vitato del Piemonte prima di abbracciare la Valle d’Aosta, l’Alto Piemonte identifica una decina di piccole denominazioni ricavate nelle fredde colline dell’estremità nord-est della regione, nei confini amministrativi delle province di Biella, Vercelli e Novara.
La quiete che si respira in queste pieghe collinari è solo un vuoto apparente di storia e tradizione enoica. L’incisione risalente al 93 d.C. ritrovata nella villa del senatore romano Vibio Crispo, a Ghemme (allora Pagus Agamium), è una delle tante testimonianze di un passato viticolo remoto, preludio a un’espansione che culmina alla fine del XIX secolo con un patrimonio di quarantamila ettari vitati nell’Alto Piemonte e dodicimila nel Canavese. L’arrivo della fillossera nell’ultima decade del secolo (accertato a Como nel 1879 e di lì a Novara e Varese) e la devastante gelata primaverile del 1904 segnano per questi territori un abbandono di massa delle campagne a vantaggio dei poli industriali delle vicine città di Milano e Torino. La superficie del vigneto crolla fino a scomparire in diverse zone. Oggi di quel patrimonio rimangono poco più di un migliaio di ettari in Alto Piemonte (di cui 780 iscritti alle denominazioni di origine) e circa 300 nel Canavese.
Solo la visione lungimirante di alcuni investitori permette di interrompere, a metà anni Novanta, il crollo pandemico della superficie vitata di questi territori. La primogenitura di questa nuova presa di coscienza spetta all’importatore svizzero Christoph Kunzli, che arriva a Boca nel 1995 e fonda l’azienda agricola Le Piane; quattro anni più tardi il suo esempio è seguito da Paolo De Marchi, che sceglie di affiancare agli eccellenti sangiovesi prodotti a Isole & Olena una gamma autorevole di vini in quel di Lessona. Una luce, seppur ancora flebile, che stimola alcuni giovani locali a riappropriarsi del proprio patrimonio viticolo e contrastare l’ultima recessione del settore industriale. E’ di pochi giorni la notizia che Roberto Conterno, erede dell’azienda agricola Giacomo Conterno e autore del mitologico Barolo Riserva Monfortino, ha acquistato a Gattinara la storica cantina Nervi.
IL NEBBIOLO TRA LANGHE E CAREMA/ALTO PIEMONTE
Quello che nasce a Carema o nell’Alto Piemonte (con le dovute distinzioni che faremo caso per caso) è un nebbiolo meno carnoso e solido rispetto a quello che nasce nelle Langhe; un nebbiolo che risente della vicinanza dell’arco alpino e quindi dal genoma più nordico e continentale. La maggiore latitudine contribuisce a dilatarne il ciclo vegetativo di una decina di giorni rispetto a quello che avviene in Langa, con un germogliamento posticipato di un paio di giorni e una vendemmia che segue quella langarola anche di due settimane. Questa dilatazione consente nell’acino una maggiore armonizzazione tra la maturazione fenolica e quella tecnologica, con la possibilità di produrre vini meno alcolici e più maturi nella componente tannica, senza subire cali di acidità. Tuttavia le Alpi, oltre a proteggere queste denominazioni dalle correnti più fredde che provengono dal centro Europa, impediscono all’umidità che sale dalla Pianura Padana di dissiparsi, creando un tasso di piovosità per questi territori superiore anche del 70% rispetto a quello che si registra, per esempio, a La Morra. Un dato contrastato dal notevole drenaggio garantito da terreni quasi privi di materiale organico e segnati da un pH acido, compreso tra i 4,2 e i 5,5, rispetto ai terreni alcalini (basici) di Langa, dove il pH raggiunge anche l’8. Nel tratteggiare un profilo di questi vini non è da sottovalutare neppure la possibilità, concessa dai disciplinari, di “tagliare” il nebbiolo con varietà complementari, tra cui prevalentemente vespolina, croatina e uva rara.
CAREMA
Carema è l’ultimo avamposto vitato del Piemonte prima di abbracciare la Valle d’Aosta, nonché il fiore all’occhiello del Canavese a tinte rosse. Siamo sulla sinistra orografica della Dora Baltea, il fiume che scende dal Monte Bianco e taglia orizzontalmente la Valle d’Aosta, con direzione ovest-est, varcando il confine con il Piemonte all’altezza di Pont-Saint-Martin (Ao). Acclusa a livello amministrativo alla provincia di Torino, dal punto di vista climatico e geologico Carema mostra una maggiore contiguità con la Valle d’Aosta e in particolare con il vicinissimo territorio di Donnas.
I venti ettari scarsi della denominazione di origine sono arroccati in terrazze scavate nella costa morenica che domina il centro abitato di Carema e la frazione di Airale. Le terrazze, tra i 300 e i 550 m/slm, poggiano su suoli granitici e sono sorrette da muretti a secco colmati con materiale di riporto proveniente dal letto del fiume. Suoli pertanto di natura morenico-alluvionale, ricchi di elementi silico-alluminosi-alcalini, derivanti dai massicci del Monte Bianco, Monte Rosa e Gran Paradiso.
Lo scenario, già suggestivo, è accentato dal tradizionale sistema di allevamento a pergola “alta” (circa due metri di altezza), che orna le terrazze con le cosiddette “topie”, strutture sorrette da pali in legno che hanno progressivamente sostituito i “Pilun”, le tozze colonne doriche in cemento che fungevano anche da regolatori termici.
La doc Carema è stata istituita nel 1967. Le tipologie previste sono due: Carema e Carema Riserva. Le uve (85% minimo di nebbiolo) devono provenire dal solo comune di Carema, all’interno del quale si deve anche svolgere la vinificazione (con deroga per la frazione Ivery che fa già parte del comune di Pont-Saint-Martin). L’affinamento obbligatorio prevede una sosta di 24 mesi a partire dal 1° novembre per la tipologia “Classica” e 36 mesi dalla stessa data per la tipologia “Riserva”. In entrambi i casi la sosta in legno deve durare almeno 12 mesi.
I nebbioli di Carema sono vini che Soldati definisce dal gusto inimitabile di sole e di pietra. Sono vini di montagna: vini tesi, in qualche caso anche nervosi, precocemente autunnali nella veste cromatica, segnati da un’acidità spiccata, un sale granitico e un tannino scoperto e appuntito.
Attualmente le azienda che producono Carema sono tre (Ferrando, Cantina Produttori Nebbiolo di Carema e Monte Maletto di Gian Marco Viano), ma almeno tre giovani vignaioli nei prossimi anni andranno a rinfoltire lo scarno tessuto sociale di questo territorio.
ALTO PIEMONTE
Con il termine Alto Piemonte ci si riferisce a una decina di denominazioni di origine che si sviluppano su entrambe le sponde orografiche del fiume Sesia, a nord – e sotto la giurisdizione - delle provincie di Biella, Vercelli e Novara (lette da ovest verso est). In questo approfondimento le mie energie si sono concentrate prevalente sulla sponda orografica destra del fiume, dove spiccano le denominazioni di Lessona, Bramaterra e Gattinara. L’unica denominazione “toccata” sulla sponda sinistra del Sesia è Boca, la cui contiguità geologica con Gattinara e Bramaterra risiede nella natura vulcanica dei suoli, generati dall’eruzione del Supervulcano della Valsesia 280 milioni di anni fa e portati in superficie in seguito allo scontro tra la placca europea e quella africana avvenuto 30 milioni di anni, responsabile dell’orogenesi alpina. Il sistema di allevamento più utilizzato è la spalliera, con potatura a guyot.
Quando ho salutato questi territori l’ho fatto stringendo in mano la promessa di abbracciare a breve anche le denominazioni delle morene più orientali: Ghemme, Sizzano e Fara, alle è quali è doveroso dedicare un capitolo a parte.
LESSONA
Lessona è un lembo di terra nel settore occidentale dell’inclusiva denominazione Coste della Sesia. Siamo sulla destra orografica del fiume Sesia, in provincia di Biella, in un comune dove si produce vino almeno dal XII secolo.
Gli appena 6,52 ettari vitati iscritti alla denominazione di origine sono coltivati su sabbie marine plioceniche (risalenti a 2 mln di anni fa) sovrapposte a sedimenti fluvioglaciali e poggiate su rocce porfiriche. Nella parte alta del vigneto le sabbie diventano purissime, nella sezione inferiore le sabbie si mischiano a una percentuale variabile di limo. Lessona deve essere immaginata come una spiaggia sulla quale il mare che copriva la Pianura Padana ha continuato ad ammassare sabbia. Si tratti di suoli con un pH pari a 4,4/4,5, tra i più acidi al mondo tra quelli dediti alla viticoltura.
La piovosità a Lessona è il doppio che a La Morra, con quasi 2000 mm annui, ma è resa meno gravosa dalla tessitura altamente drenante dei suoli. Qui il nebbiolo, storicamente chiamato Spanna, può essere vinificato in purezza e comunque non in una percentuale minore all’85%, con un saldo massimo del 15% di vespolina e/o uva rara. La doc Lessona, istituita nel 1976, prevede due tipologie: Lessona e Lessona Riserva. Le uve atte alla produzione di Lessona devono provenire esclusivamente dall’omonimo comune, ma possono essere vinificate anche nei sette comuni di pertinenza della limitrofa doc Bramaterra. L’affinamento obbligatorio prevede una sosta di 22 mesi a partire dal 1° novembre per la tipologia “Classica” e 46 mesi dalla stessa data per la tipologia “Riserva”. La sosta in legno minima è di 12 mesi il Lessona e 30 mesi per il Lessona Riserva.
I nebbioli di Lessona sono tra i più eleganti della regione. Vini segnati da note iodate, marine e floreali, in possesso di bocche slanciate, in cui il tannino si fonde in un allungo salino dolce. Vini nati dal mare.
BRAMATERRA
La denominazione Bramaterra si trova alla destra orografica del fiume Sesia, su una superficie che si estende nei territori di sette comuni: Brusnengo, Curino, Masserano, Sostegno e Villa del Bosco, in provincia di Biella, Lozzolo e Roasio in provincia di Vercelli. Bramaterra è l’unica doc interprovinciale dell’Alto Piemonte e oggi conta 28,72 ettari vitati (in crescita).
I suoli vedono l’alternanza e la sovrapposizione di sabbie plioceniche e rocce porfiriche di origine vulcanica. Non è semplice tracciare un unico profilo per i vini di Bramaterra poiché non è semplice tracciare un unico profilo del suolo. In linea di massima possiamo comunque annotare che i terreni più alti, specialmente sul versante di Gattinara, sono quelli segnati con maggiore decisione dal vulcano, mentre quelli più bassi, e più a ridosso di Lessona, dalle sabbie. Soprattutto questi ultimi sono suoli molto profondi, anche 40/45 metri. Sul lato opposto, invece, nei pressi di Lozzolo la tessitura mostra una maggiore presenza (seppur marginale) di limo e argilla. A Masserano, infine, il suolo sabbioso assume una tonalità bruna, quasi vinaccia, per via dell’alta concentrazione di ferro.
La doc arriva nel 1979, con deroga per la famiglia Antoniotti - patriarca della denominazione - riferita alla vendemmia dell’anno precedente. La Base ampelografica prevede l’utilizzo del nebbiolo (localmente chiamato Spanna) dal 50% all'80%; sono ammesse Croatina per un massimo del 30% e/o Uva Rara e Vespolina, da sole o congiuntamente, per un massimo del 20%. Le uve dei sette comuni della d.o. Bramaterra possono essere vinificate anche nel comune di Lessona. L’affinamento prevede una sosta di 22 mesi a partire dal 1° novembre per la tipologia “Classica” e 34 mesi dalla stessa data per la tipologia “Riserva”. La sosta in legno minima è di 18 mesi per il Bramaterra e 24 mesi per il Bramaterra Riserva.
I vini di Bramaterra nelle parole di Soldati è un vino formidabile: potente, gustoso, pieno, di un amaro integro e piacevolissimo. Nelle parole del sottoscritto è un vino che unisce il mare al vulcano, con un vigore tannico che prepara alle maggiori strutture di Gattinara.
GATTINARA
La docg Gattinara si sviluppa all’interno dei confini dell’omonimo comune, nell’estremità sud-est della superficie di competenza della inclusiva denominazione Coste della Sesia. Siamo in provincia di Vercelli, in uno spazio che fiancheggia la destra orografica del fiume Sesia, di fronte alla dirimpettaia Ghemme.
I 94,48 ettari vitati, sono concentrati su una singola collina, con andamento est-ovest, posta dietro il centro abitato. Una ventina di Cru non certificati dal legislatore tra cui spiccano il Molsino della cantina Nervi e l’Osso San Grato della cantina Antoniolo. A giocare un ruolo significativo nella qualità della raccolta intervengono esposizione e altitudine dei vigneti, quest’ultima compresa tra i 280 e i 450 m/slm. Il clima è tra i più caldi dell’Alto Piemonte, mentre la piovosità supera per il 70% quella delle Langhe. Sorgendo nel cuore della caldera del Supervulcano, Gattinara è costituita da suoli di pura origine vulcanica, con rocce porfiriche e granitiche di colorazioni bruno-rossastre derivanti da un’alta concentrazione di ferro. Il suolo è un sottile strato povero di humus derivante dal disfacimento di rocce sottostanti.
Gattinara ottiene la doc nel 1967 e la docg nel 1990 per entrambe le tipologie previste: Gattinara e Gattinara Riserva. La base ampelografica sancita dal disciplinare impone un utilizzo di nebbiolo, localmente detto spanna, per un una percentuale compresa tra il 90% e il 100%. Possono concorrere alla produzione di detti vini anche le uve provenienti da vitigni vespolina per un massimo del 4% e/o uva Rara, purché detti vitigni complessivamente non superino il 10% del totale. L’affinamento prevede un periodo minimo di maturazione di 35 mesi per la tipologia Gattinara e 47 mesi per la tipologia “Riserva” a partire dall’1 novembre successivo alla vendemmia. La permanenza minima in legno è rispettivamente di 24 e 36 mesi.
I nebbioli che nascono a Gattinara possiedono energia e calore, come se portassero in dote il ricordo dell’eruzione vulcanica. Il naso è segnato da note ematiche e ferruginose, mentre il palato mostra un ingresso dolce e un allungo dinamico, reso vigoroso dalla trama tannica sostenuta e dalla generosa scia salina.
BOCA
E’ con l’arrivo nel 1995 di Christoph Kunzli a Boca che l’Alto Piemonte sembra iniziare il proprio lento risveglio. Siamo lungo la sponda sinistra del Sesia, nella sezione più settentrionale dell’inclusiva doc Colline Novaresi. La superficie interessata dalla doc ammonta oggi a 9,44 ettari, spalmati sui territori di cinque comuni (Boca, Cavallirio, Grignasco, Maggiora e Prato Sesia) tutti in provincia di Novara. Anche le altitudini sembrano risentire della maggiore vicinanza all’arco alpino con un range che varia dai 300 m/slm ai 550 m/slm. I suoli, unico caso sulla sinistra orografica del Sesia, sono di matrice vulcanica, con porfidi dalle sfumature rosa e violacee.
La base ampelografica è nebbiolo (localmente chiamato Spanna) al 70% - 90%; sono ammesse uva rara e vespolina, da sole o congiuntamente, per un massimo del 30%.
Le uve dei cinque comuni della d.o. Boca possono essere vinificate in una ventina di comuni in provincia di Novara. L’affinamento prevede una sosta di 34 mesi a partire dal 1° novembre per la tipologia “Classica” e 46 mesi dalla stessa data per la tipologia “Riserva”. La sosta in legno minima è di 18 mesi per il Boca e 24 mesi per il Boca Riserva.
I vini di Boca sono vini di energia e potenziale evolutivo, che mostrano un naso floreale e agrumato, con piccoli frutti rossi a fondersi con note più piriche. Al palato è uno dei più lenti ad uscire, con una spinta acido-sapida notevole e un tannino spigliato.
Mi congedo da questo racconto con le note di assaggio di alcuni vini il cui ricordo si è impresso nella mia memoria. Un vino per ogni denominazione descritta, con l’aggiunta di una bottiglia “d’archivio” e qualche menzione speciale. Senza soffermarmi a pensare se siano o meno i vini migliori, credo che tutti quelli citati rappresentino un positivo spaccato del territorio.
NOTE BIBLIOGRAFICHE E RINGRAZIAMENTI
Un contributo essenziale a supporto di questo articolo è stato fornito dal giovane e brillante Cristiano Garella, minuzioso conoscitore del territorio alto-piemontese e motivatore tecnico e morale per tante realtà locali. Tra le letture cito “Vino al Vino” di Mario Soldati e l’articolo “Alto Piemonte – L’altro Nebbiolo (e non solo)” pubblicato sul numero 19 di Enogea II serie e realizzato dall’amico e puro fuoriclasse Francesco Falcone. Tra i siti cito quello del Consorzio di tutela dei nebbioli dell'Alto Piemonte (http://www.consnebbiolialtop.it/), quello di Quantin Sadler (https://quentinsadler.wordpress.com/) per la mappa sulle zone vitivinicole del Piemonte e quello di Vino al Top (https://www.vinoaltop.it/) per la mappa sulle denominazioni dell'Alto piemonte.
A lungo tenutari della più alta tradizione viticola piemontese, questi comprensori sono sopravvissuti a stento a una storia ostile, conservandosi artefici di nebbioli stilizzati, dalla veste cromatica tersa e spesso precocemente autunnale, segnati da acidità severe, salinità corroboranti e tannini puntellati. Vini misurati nella forma, ma tenaci nella sostanza.
Nelle righe che seguono riporto il resoconto di una lunga passeggiata nei luoghi dove nascono questi vini, tra borghi sospesi, vigne scampate al bosco e vignaioli temerari; luoghi che, nelle parole di Mario Soldati, “schivano ogni pubblicità e vogliono essere scoperti e conosciuti in solitudine, o nella religiosa compagnia di pochi amici”.
LOCALIZZAZIONE E STORIA
Siamo a un centinaio di chilometri a nord di Alba, il capoluogo delle Langhe e dei nebbioli più celebrati, quelli di Barolo e Barbaresco. Qui si trovano i vigneti di Carema e Alto Piemonte, due comprensori distanti anche negli scenari e nell’approccio alla viticoltura (basti pensare ai diversi sistemi di allevamenti della vite), ma accomunati da un carattere comune dei suoli che li allontana da quelli delle Langhe: il pH acido.
Se Carema rappresenta l’ultimo minuscolo avamposto vitato del Piemonte prima di abbracciare la Valle d’Aosta, l’Alto Piemonte identifica una decina di piccole denominazioni ricavate nelle fredde colline dell’estremità nord-est della regione, nei confini amministrativi delle province di Biella, Vercelli e Novara.
La quiete che si respira in queste pieghe collinari è solo un vuoto apparente di storia e tradizione enoica. L’incisione risalente al 93 d.C. ritrovata nella villa del senatore romano Vibio Crispo, a Ghemme (allora Pagus Agamium), è una delle tante testimonianze di un passato viticolo remoto, preludio a un’espansione che culmina alla fine del XIX secolo con un patrimonio di quarantamila ettari vitati nell’Alto Piemonte e dodicimila nel Canavese. L’arrivo della fillossera nell’ultima decade del secolo (accertato a Como nel 1879 e di lì a Novara e Varese) e la devastante gelata primaverile del 1904 segnano per questi territori un abbandono di massa delle campagne a vantaggio dei poli industriali delle vicine città di Milano e Torino. La superficie del vigneto crolla fino a scomparire in diverse zone. Oggi di quel patrimonio rimangono poco più di un migliaio di ettari in Alto Piemonte (di cui 780 iscritti alle denominazioni di origine) e circa 300 nel Canavese.
Solo la visione lungimirante di alcuni investitori permette di interrompere, a metà anni Novanta, il crollo pandemico della superficie vitata di questi territori. La primogenitura di questa nuova presa di coscienza spetta all’importatore svizzero Christoph Kunzli, che arriva a Boca nel 1995 e fonda l’azienda agricola Le Piane; quattro anni più tardi il suo esempio è seguito da Paolo De Marchi, che sceglie di affiancare agli eccellenti sangiovesi prodotti a Isole & Olena una gamma autorevole di vini in quel di Lessona. Una luce, seppur ancora flebile, che stimola alcuni giovani locali a riappropriarsi del proprio patrimonio viticolo e contrastare l’ultima recessione del settore industriale. E’ di pochi giorni la notizia che Roberto Conterno, erede dell’azienda agricola Giacomo Conterno e autore del mitologico Barolo Riserva Monfortino, ha acquistato a Gattinara la storica cantina Nervi.
IL NEBBIOLO TRA LANGHE E CAREMA/ALTO PIEMONTE
Quello che nasce a Carema o nell’Alto Piemonte (con le dovute distinzioni che faremo caso per caso) è un nebbiolo meno carnoso e solido rispetto a quello che nasce nelle Langhe; un nebbiolo che risente della vicinanza dell’arco alpino e quindi dal genoma più nordico e continentale. La maggiore latitudine contribuisce a dilatarne il ciclo vegetativo di una decina di giorni rispetto a quello che avviene in Langa, con un germogliamento posticipato di un paio di giorni e una vendemmia che segue quella langarola anche di due settimane. Questa dilatazione consente nell’acino una maggiore armonizzazione tra la maturazione fenolica e quella tecnologica, con la possibilità di produrre vini meno alcolici e più maturi nella componente tannica, senza subire cali di acidità. Tuttavia le Alpi, oltre a proteggere queste denominazioni dalle correnti più fredde che provengono dal centro Europa, impediscono all’umidità che sale dalla Pianura Padana di dissiparsi, creando un tasso di piovosità per questi territori superiore anche del 70% rispetto a quello che si registra, per esempio, a La Morra. Un dato contrastato dal notevole drenaggio garantito da terreni quasi privi di materiale organico e segnati da un pH acido, compreso tra i 4,2 e i 5,5, rispetto ai terreni alcalini (basici) di Langa, dove il pH raggiunge anche l’8. Nel tratteggiare un profilo di questi vini non è da sottovalutare neppure la possibilità, concessa dai disciplinari, di “tagliare” il nebbiolo con varietà complementari, tra cui prevalentemente vespolina, croatina e uva rara.
CAREMA
Carema è l’ultimo avamposto vitato del Piemonte prima di abbracciare la Valle d’Aosta, nonché il fiore all’occhiello del Canavese a tinte rosse. Siamo sulla sinistra orografica della Dora Baltea, il fiume che scende dal Monte Bianco e taglia orizzontalmente la Valle d’Aosta, con direzione ovest-est, varcando il confine con il Piemonte all’altezza di Pont-Saint-Martin (Ao). Acclusa a livello amministrativo alla provincia di Torino, dal punto di vista climatico e geologico Carema mostra una maggiore contiguità con la Valle d’Aosta e in particolare con il vicinissimo territorio di Donnas.
I venti ettari scarsi della denominazione di origine sono arroccati in terrazze scavate nella costa morenica che domina il centro abitato di Carema e la frazione di Airale. Le terrazze, tra i 300 e i 550 m/slm, poggiano su suoli granitici e sono sorrette da muretti a secco colmati con materiale di riporto proveniente dal letto del fiume. Suoli pertanto di natura morenico-alluvionale, ricchi di elementi silico-alluminosi-alcalini, derivanti dai massicci del Monte Bianco, Monte Rosa e Gran Paradiso.
Lo scenario, già suggestivo, è accentato dal tradizionale sistema di allevamento a pergola “alta” (circa due metri di altezza), che orna le terrazze con le cosiddette “topie”, strutture sorrette da pali in legno che hanno progressivamente sostituito i “Pilun”, le tozze colonne doriche in cemento che fungevano anche da regolatori termici.
La doc Carema è stata istituita nel 1967. Le tipologie previste sono due: Carema e Carema Riserva. Le uve (85% minimo di nebbiolo) devono provenire dal solo comune di Carema, all’interno del quale si deve anche svolgere la vinificazione (con deroga per la frazione Ivery che fa già parte del comune di Pont-Saint-Martin). L’affinamento obbligatorio prevede una sosta di 24 mesi a partire dal 1° novembre per la tipologia “Classica” e 36 mesi dalla stessa data per la tipologia “Riserva”. In entrambi i casi la sosta in legno deve durare almeno 12 mesi.
I nebbioli di Carema sono vini che Soldati definisce dal gusto inimitabile di sole e di pietra. Sono vini di montagna: vini tesi, in qualche caso anche nervosi, precocemente autunnali nella veste cromatica, segnati da un’acidità spiccata, un sale granitico e un tannino scoperto e appuntito.
Attualmente le azienda che producono Carema sono tre (Ferrando, Cantina Produttori Nebbiolo di Carema e Monte Maletto di Gian Marco Viano), ma almeno tre giovani vignaioli nei prossimi anni andranno a rinfoltire lo scarno tessuto sociale di questo territorio.
ALTO PIEMONTE
Con il termine Alto Piemonte ci si riferisce a una decina di denominazioni di origine che si sviluppano su entrambe le sponde orografiche del fiume Sesia, a nord – e sotto la giurisdizione - delle provincie di Biella, Vercelli e Novara (lette da ovest verso est). In questo approfondimento le mie energie si sono concentrate prevalente sulla sponda orografica destra del fiume, dove spiccano le denominazioni di Lessona, Bramaterra e Gattinara. L’unica denominazione “toccata” sulla sponda sinistra del Sesia è Boca, la cui contiguità geologica con Gattinara e Bramaterra risiede nella natura vulcanica dei suoli, generati dall’eruzione del Supervulcano della Valsesia 280 milioni di anni fa e portati in superficie in seguito allo scontro tra la placca europea e quella africana avvenuto 30 milioni di anni, responsabile dell’orogenesi alpina. Il sistema di allevamento più utilizzato è la spalliera, con potatura a guyot.
Quando ho salutato questi territori l’ho fatto stringendo in mano la promessa di abbracciare a breve anche le denominazioni delle morene più orientali: Ghemme, Sizzano e Fara, alle è quali è doveroso dedicare un capitolo a parte.
LESSONA
Lessona è un lembo di terra nel settore occidentale dell’inclusiva denominazione Coste della Sesia. Siamo sulla destra orografica del fiume Sesia, in provincia di Biella, in un comune dove si produce vino almeno dal XII secolo.
Gli appena 6,52 ettari vitati iscritti alla denominazione di origine sono coltivati su sabbie marine plioceniche (risalenti a 2 mln di anni fa) sovrapposte a sedimenti fluvioglaciali e poggiate su rocce porfiriche. Nella parte alta del vigneto le sabbie diventano purissime, nella sezione inferiore le sabbie si mischiano a una percentuale variabile di limo. Lessona deve essere immaginata come una spiaggia sulla quale il mare che copriva la Pianura Padana ha continuato ad ammassare sabbia. Si tratti di suoli con un pH pari a 4,4/4,5, tra i più acidi al mondo tra quelli dediti alla viticoltura.
La piovosità a Lessona è il doppio che a La Morra, con quasi 2000 mm annui, ma è resa meno gravosa dalla tessitura altamente drenante dei suoli. Qui il nebbiolo, storicamente chiamato Spanna, può essere vinificato in purezza e comunque non in una percentuale minore all’85%, con un saldo massimo del 15% di vespolina e/o uva rara. La doc Lessona, istituita nel 1976, prevede due tipologie: Lessona e Lessona Riserva. Le uve atte alla produzione di Lessona devono provenire esclusivamente dall’omonimo comune, ma possono essere vinificate anche nei sette comuni di pertinenza della limitrofa doc Bramaterra. L’affinamento obbligatorio prevede una sosta di 22 mesi a partire dal 1° novembre per la tipologia “Classica” e 46 mesi dalla stessa data per la tipologia “Riserva”. La sosta in legno minima è di 12 mesi il Lessona e 30 mesi per il Lessona Riserva.
I nebbioli di Lessona sono tra i più eleganti della regione. Vini segnati da note iodate, marine e floreali, in possesso di bocche slanciate, in cui il tannino si fonde in un allungo salino dolce. Vini nati dal mare.
BRAMATERRA
La denominazione Bramaterra si trova alla destra orografica del fiume Sesia, su una superficie che si estende nei territori di sette comuni: Brusnengo, Curino, Masserano, Sostegno e Villa del Bosco, in provincia di Biella, Lozzolo e Roasio in provincia di Vercelli. Bramaterra è l’unica doc interprovinciale dell’Alto Piemonte e oggi conta 28,72 ettari vitati (in crescita).
I suoli vedono l’alternanza e la sovrapposizione di sabbie plioceniche e rocce porfiriche di origine vulcanica. Non è semplice tracciare un unico profilo per i vini di Bramaterra poiché non è semplice tracciare un unico profilo del suolo. In linea di massima possiamo comunque annotare che i terreni più alti, specialmente sul versante di Gattinara, sono quelli segnati con maggiore decisione dal vulcano, mentre quelli più bassi, e più a ridosso di Lessona, dalle sabbie. Soprattutto questi ultimi sono suoli molto profondi, anche 40/45 metri. Sul lato opposto, invece, nei pressi di Lozzolo la tessitura mostra una maggiore presenza (seppur marginale) di limo e argilla. A Masserano, infine, il suolo sabbioso assume una tonalità bruna, quasi vinaccia, per via dell’alta concentrazione di ferro.
La doc arriva nel 1979, con deroga per la famiglia Antoniotti - patriarca della denominazione - riferita alla vendemmia dell’anno precedente. La Base ampelografica prevede l’utilizzo del nebbiolo (localmente chiamato Spanna) dal 50% all'80%; sono ammesse Croatina per un massimo del 30% e/o Uva Rara e Vespolina, da sole o congiuntamente, per un massimo del 20%. Le uve dei sette comuni della d.o. Bramaterra possono essere vinificate anche nel comune di Lessona. L’affinamento prevede una sosta di 22 mesi a partire dal 1° novembre per la tipologia “Classica” e 34 mesi dalla stessa data per la tipologia “Riserva”. La sosta in legno minima è di 18 mesi per il Bramaterra e 24 mesi per il Bramaterra Riserva.
I vini di Bramaterra nelle parole di Soldati è un vino formidabile: potente, gustoso, pieno, di un amaro integro e piacevolissimo. Nelle parole del sottoscritto è un vino che unisce il mare al vulcano, con un vigore tannico che prepara alle maggiori strutture di Gattinara.
GATTINARA
La docg Gattinara si sviluppa all’interno dei confini dell’omonimo comune, nell’estremità sud-est della superficie di competenza della inclusiva denominazione Coste della Sesia. Siamo in provincia di Vercelli, in uno spazio che fiancheggia la destra orografica del fiume Sesia, di fronte alla dirimpettaia Ghemme.
I 94,48 ettari vitati, sono concentrati su una singola collina, con andamento est-ovest, posta dietro il centro abitato. Una ventina di Cru non certificati dal legislatore tra cui spiccano il Molsino della cantina Nervi e l’Osso San Grato della cantina Antoniolo. A giocare un ruolo significativo nella qualità della raccolta intervengono esposizione e altitudine dei vigneti, quest’ultima compresa tra i 280 e i 450 m/slm. Il clima è tra i più caldi dell’Alto Piemonte, mentre la piovosità supera per il 70% quella delle Langhe. Sorgendo nel cuore della caldera del Supervulcano, Gattinara è costituita da suoli di pura origine vulcanica, con rocce porfiriche e granitiche di colorazioni bruno-rossastre derivanti da un’alta concentrazione di ferro. Il suolo è un sottile strato povero di humus derivante dal disfacimento di rocce sottostanti.
Gattinara ottiene la doc nel 1967 e la docg nel 1990 per entrambe le tipologie previste: Gattinara e Gattinara Riserva. La base ampelografica sancita dal disciplinare impone un utilizzo di nebbiolo, localmente detto spanna, per un una percentuale compresa tra il 90% e il 100%. Possono concorrere alla produzione di detti vini anche le uve provenienti da vitigni vespolina per un massimo del 4% e/o uva Rara, purché detti vitigni complessivamente non superino il 10% del totale. L’affinamento prevede un periodo minimo di maturazione di 35 mesi per la tipologia Gattinara e 47 mesi per la tipologia “Riserva” a partire dall’1 novembre successivo alla vendemmia. La permanenza minima in legno è rispettivamente di 24 e 36 mesi.
I nebbioli che nascono a Gattinara possiedono energia e calore, come se portassero in dote il ricordo dell’eruzione vulcanica. Il naso è segnato da note ematiche e ferruginose, mentre il palato mostra un ingresso dolce e un allungo dinamico, reso vigoroso dalla trama tannica sostenuta e dalla generosa scia salina.
BOCA
E’ con l’arrivo nel 1995 di Christoph Kunzli a Boca che l’Alto Piemonte sembra iniziare il proprio lento risveglio. Siamo lungo la sponda sinistra del Sesia, nella sezione più settentrionale dell’inclusiva doc Colline Novaresi. La superficie interessata dalla doc ammonta oggi a 9,44 ettari, spalmati sui territori di cinque comuni (Boca, Cavallirio, Grignasco, Maggiora e Prato Sesia) tutti in provincia di Novara. Anche le altitudini sembrano risentire della maggiore vicinanza all’arco alpino con un range che varia dai 300 m/slm ai 550 m/slm. I suoli, unico caso sulla sinistra orografica del Sesia, sono di matrice vulcanica, con porfidi dalle sfumature rosa e violacee.
La base ampelografica è nebbiolo (localmente chiamato Spanna) al 70% - 90%; sono ammesse uva rara e vespolina, da sole o congiuntamente, per un massimo del 30%.
Le uve dei cinque comuni della d.o. Boca possono essere vinificate in una ventina di comuni in provincia di Novara. L’affinamento prevede una sosta di 34 mesi a partire dal 1° novembre per la tipologia “Classica” e 46 mesi dalla stessa data per la tipologia “Riserva”. La sosta in legno minima è di 18 mesi per il Boca e 24 mesi per il Boca Riserva.
I vini di Boca sono vini di energia e potenziale evolutivo, che mostrano un naso floreale e agrumato, con piccoli frutti rossi a fondersi con note più piriche. Al palato è uno dei più lenti ad uscire, con una spinta acido-sapida notevole e un tannino spigliato.
Mi congedo da questo racconto con le note di assaggio di alcuni vini il cui ricordo si è impresso nella mia memoria. Un vino per ogni denominazione descritta, con l’aggiunta di una bottiglia “d’archivio” e qualche menzione speciale. Senza soffermarmi a pensare se siano o meno i vini migliori, credo che tutti quelli citati rappresentino un positivo spaccato del territorio.
NOTE BIBLIOGRAFICHE E RINGRAZIAMENTI
Un contributo essenziale a supporto di questo articolo è stato fornito dal giovane e brillante Cristiano Garella, minuzioso conoscitore del territorio alto-piemontese e motivatore tecnico e morale per tante realtà locali. Tra le letture cito “Vino al Vino” di Mario Soldati e l’articolo “Alto Piemonte – L’altro Nebbiolo (e non solo)” pubblicato sul numero 19 di Enogea II serie e realizzato dall’amico e puro fuoriclasse Francesco Falcone. Tra i siti cito quello del Consorzio di tutela dei nebbioli dell'Alto Piemonte (http://www.consnebbiolialtop.it/), quello di Quantin Sadler (https://quentinsadler.wordpress.com/) per la mappa sulle zone vitivinicole del Piemonte e quello di Vino al Top (https://www.vinoaltop.it/) per la mappa sulle denominazioni dell'Alto piemonte.