FRANCIA: J’ADORE LE CHAMPAGNE! ( Piccolo vademecum per iniziandi, quinta parte )
di STEFANO ZAGHINI - 04 agosto 2016
“Come il trasformarsi di una storia d’amore in una relazione umana più profonda, la creazione dello Champagne è un’arte che si fissa nelle vite stesse di chi lo produce. Deve essere concepito e creato dalla materia grezza con immaginazione, duro lavoro e continuità. Non nasce soltanto. E’ il lavoro di tutta una vita. E’ un capolavoro!” (W. Kaufman – regista)
Vediamo quali sono le fasi fondamentali per realizzare il laborioso metodo champenoise.
In epoca contemporanea questo metodo perpetua la scia di una tradizione secolare ed empirica, rimbalzando dall’alchemico assemblaggio da parte degli “chef de cave” alla tecnologia più avanzata delle moderne attrezzature di cantina.
LA VENDEMMIA
La vendemmia avviene villaggio per villaggio dopo che il CIVC ne ha suggerito il calendario e ne ha stabilito la massima resa per ettaro. In genere si svolge nella seconda metà di settembre, in funzione dei vari microclimi presenti nella denominazione, all’incirca cento giorni dopo la fioritura della vite.
La raccolta delle uve si effettua manualmente. Se un tempo il loro trasporto avveniva nei tradizionali cesti di vimini (mannequins), oggi si utilizzano cassette di plastica perforate per evitare che eventuale liquido ristagni sul fondo. Queste vengono poi trasportate da carri molleggiati alle cantine o ai vicini centre de pressurage, disseminati in tutta la regione (all’incirca 1900 quelli accreditati), al fine di minimizzare i rischi del trasporto e dell’ossidazione.
LA PRESSATURA
In passato la pressatura era svolta nei tradizionali torchi di legno circolari - più raramente quadrati - detti champenoise, con una capienza di 4000 Kg (marc) o multipli. Oggi gran parte di questi torchi sono stati sostituiti dalle più moderne presse pneumatiche o a piatto inclinato.
Le uve vengono suddivise per cru e vitigno, pesate e quindi pressate. Un’operazione, quest’ultima, che avviene di norma a grappolo intero (senza diraspatura, eccetto per i rosé), per preservare l’integrità dell’acino e perché la parte fibrosa del tralcio aiuti a canalizzare il liquido. La fase della pigiatura è molto delicata perché deve calibrare un’azione rapida e soffice, affinché non si compromettano qualità e limpidezza del mosto.
Secondo la normativa vigente sulle rese (e al netto di deroghe) da 160 kg di uva si possono ottenere 102 litri di mosto. Per la medesima proporzione un marc può pertanto generare 2550 litri di mosto, ottenibile nel seguente modo: una prima spremitura di 2050 litri di mosto fiore (cuvée o serré) e una seconda pressatura di 500 litri (taille) meno qualitativa che di rado entra nell’assemblaggio delle etichette più importanti. Ciò che resta viene detta rebéche e di solito è destinata alla distillazione. La possibilità di una terza spremitura, detta deuxieme taille, è stata revocata nel 1992 per via del suo scarso valore qualitativo.
A questo punto il mosto viene lasciato decantare e raffreddato per favorire la precipitazione delle sostanze solide. Gli scarti della lavorazione (raspi, vinaccioli e bucce) vengono eliminati attraverso un’azione detta debourbage. La chiarificazione si svolge con albume d’uovo, vinacce di chardonnay, colla di pesce o per filtrazione. E’ importante non impoverire troppo il mosto che dovrà sostenere la prima fermentazione (alcolica). Queste due fasi sono fondamentali per la qualità finale del vino!
LA PRIMA FERMENTAZIONE
La trasformazione del mosto in vin clair (o vino base) si sviluppa oggi prevalentemente in tini di acciaio inox termo-regolati, innescata da lieviti selezionati di tipo industriale, ma può avvenire anche in legno di botte grande o barrique, con utilizzo di lieviti indigeni e a temperatura non controllata, soprattutto nel caso dei recoltant manipulant più artigianali che non temono (e in qualche caso ricercano) l’insorgere di eventuali note ossidative. Il completo svolgimento degli zuccheri consente il raggiungimento di un titolo alcolometrico tra i 10.5-11,5 gradi. A tal fine, nelle annate in cui le uve hanno meno concentrazione zuccherina, è permessa l’aggiunta di zucchero nel mosto (chaptalisation) per accrescerlo, secondo i limiti di legge, di una unità percentuale. Dopo la fermentazione alcolica talvolta viene svolta anche quella ‘malolattica’, indotta o spontanea, che trasforma il duro acido malico nel più morbido acido lattico. Così pure le chiarifiche e le filtrazioni del vino base sono in genere ad appannaggio di uno Champagne prodotto da un processo “agro-industriale” come quello delle maison.
Si ottiene così il vin clair, un vino base tranquillo e secco, ma aspro e acido. Un vino che in questo stato non potrebbe onorare alcuna tavola. Si tratta dell’ennesimo paradosso dello Champagne: più il vino base è neutro e meglio è, deve avere acidità alta e basso tenore alcolico (tanto poi quest’ultimo si alzerà con la presa di spuma che avviene a temperature basse proprio per favorire un buon bouquet e un miglior perlage).
L’ASSEMBLAGGIO
Una volta ottenuta la batteria di vin clair in rappresentanza di ciascuna vigna e ciascun vitigno, entra in gioco il talento dello chef de cave, la figura che ha il compito di creare l’assemblaggio definitivo per ciascuna etichetta aziendale. Come un alchimista lo chef de cave sceglierà le partite, anche di diverse annate, da assemblare per l’ottenimento delle varie cuvée aziendali e quelle destinate invece a diventare “vini di riserva”, per essere poi utilizzati negli anni a venire. Un lavoro complesso che si deve svolgere nell’ossequioso rispetto dello stile aziendale.
La capacità di gestione dei “vini di riserva”, patrimonio inestimabile delle grandi maison, oltre a indirizzare il “gusto” aziendale, permette anche di correggere le caratteristiche di millesimi meno fortunati. Questa tecnica è conosciuta come cabotage.
E’ facile intuire quindi che il valore dell’assemblaggio finale, che darà origine al nostro Champagne, sarà così superiore a quello di ogni singolo vino. Questa operazione è complessa poiché la selezione e il bilanciamento delle “basi” necessitano di tanta esperienza e memoria per prevedere l’effetto della combinazione nel lungo periodo. Storicamente questo è anche il grande valore attribuito all’abate Dom Perignon, uno chef de cave ante-litteram, che ebbe il merito e la capacità di riconoscere il pregio qualitativo di uve provenienti da appezzamenti differenti ed assemblarle sapientemente insieme!
TO BE CONTINUED
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Bibliografia
- Guide des Vins de France 2013
- Champagne ; il sacrificio di un territorio – Phortos Edizioni, Roma 2008 (Cogliati Samuel)
- Champagne, il sogno fragile – Possibilia editore, Mottola 2013 (Cogliati Samuel)
- Le Vin. Le connaitre, le choisir, l’apprècier – Hachette Pratique, 2010 (Morvan Thierry)
- Champagne – Le Guide – Editions Hermè, Paris 1997 (Rabaudy Nicolas)
- Champagne ! Histoire inattendue, les Editions de l’Atelier, 2012 (Wolikow Claudine e Serge)
- Le Gout du vin. Le grand livre de la degustation, Dunod, Bordas, Paris 1983 (Peynaud Emile)
- Le livre d’or du Champagne, Editions Grand Pont, Lausanne, 1984 (Bonal Francois)
- Champagne. Les Terroirs – Le vigneron Champenois 1998/1999 – sevizi tecnici del CIVC
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Sitografia:
Vediamo quali sono le fasi fondamentali per realizzare il laborioso metodo champenoise.
In epoca contemporanea questo metodo perpetua la scia di una tradizione secolare ed empirica, rimbalzando dall’alchemico assemblaggio da parte degli “chef de cave” alla tecnologia più avanzata delle moderne attrezzature di cantina.
LA VENDEMMIA
La vendemmia avviene villaggio per villaggio dopo che il CIVC ne ha suggerito il calendario e ne ha stabilito la massima resa per ettaro. In genere si svolge nella seconda metà di settembre, in funzione dei vari microclimi presenti nella denominazione, all’incirca cento giorni dopo la fioritura della vite.
La raccolta delle uve si effettua manualmente. Se un tempo il loro trasporto avveniva nei tradizionali cesti di vimini (mannequins), oggi si utilizzano cassette di plastica perforate per evitare che eventuale liquido ristagni sul fondo. Queste vengono poi trasportate da carri molleggiati alle cantine o ai vicini centre de pressurage, disseminati in tutta la regione (all’incirca 1900 quelli accreditati), al fine di minimizzare i rischi del trasporto e dell’ossidazione.
LA PRESSATURA
In passato la pressatura era svolta nei tradizionali torchi di legno circolari - più raramente quadrati - detti champenoise, con una capienza di 4000 Kg (marc) o multipli. Oggi gran parte di questi torchi sono stati sostituiti dalle più moderne presse pneumatiche o a piatto inclinato.
Le uve vengono suddivise per cru e vitigno, pesate e quindi pressate. Un’operazione, quest’ultima, che avviene di norma a grappolo intero (senza diraspatura, eccetto per i rosé), per preservare l’integrità dell’acino e perché la parte fibrosa del tralcio aiuti a canalizzare il liquido. La fase della pigiatura è molto delicata perché deve calibrare un’azione rapida e soffice, affinché non si compromettano qualità e limpidezza del mosto.
Secondo la normativa vigente sulle rese (e al netto di deroghe) da 160 kg di uva si possono ottenere 102 litri di mosto. Per la medesima proporzione un marc può pertanto generare 2550 litri di mosto, ottenibile nel seguente modo: una prima spremitura di 2050 litri di mosto fiore (cuvée o serré) e una seconda pressatura di 500 litri (taille) meno qualitativa che di rado entra nell’assemblaggio delle etichette più importanti. Ciò che resta viene detta rebéche e di solito è destinata alla distillazione. La possibilità di una terza spremitura, detta deuxieme taille, è stata revocata nel 1992 per via del suo scarso valore qualitativo.
A questo punto il mosto viene lasciato decantare e raffreddato per favorire la precipitazione delle sostanze solide. Gli scarti della lavorazione (raspi, vinaccioli e bucce) vengono eliminati attraverso un’azione detta debourbage. La chiarificazione si svolge con albume d’uovo, vinacce di chardonnay, colla di pesce o per filtrazione. E’ importante non impoverire troppo il mosto che dovrà sostenere la prima fermentazione (alcolica). Queste due fasi sono fondamentali per la qualità finale del vino!
LA PRIMA FERMENTAZIONE
La trasformazione del mosto in vin clair (o vino base) si sviluppa oggi prevalentemente in tini di acciaio inox termo-regolati, innescata da lieviti selezionati di tipo industriale, ma può avvenire anche in legno di botte grande o barrique, con utilizzo di lieviti indigeni e a temperatura non controllata, soprattutto nel caso dei recoltant manipulant più artigianali che non temono (e in qualche caso ricercano) l’insorgere di eventuali note ossidative. Il completo svolgimento degli zuccheri consente il raggiungimento di un titolo alcolometrico tra i 10.5-11,5 gradi. A tal fine, nelle annate in cui le uve hanno meno concentrazione zuccherina, è permessa l’aggiunta di zucchero nel mosto (chaptalisation) per accrescerlo, secondo i limiti di legge, di una unità percentuale. Dopo la fermentazione alcolica talvolta viene svolta anche quella ‘malolattica’, indotta o spontanea, che trasforma il duro acido malico nel più morbido acido lattico. Così pure le chiarifiche e le filtrazioni del vino base sono in genere ad appannaggio di uno Champagne prodotto da un processo “agro-industriale” come quello delle maison.
Si ottiene così il vin clair, un vino base tranquillo e secco, ma aspro e acido. Un vino che in questo stato non potrebbe onorare alcuna tavola. Si tratta dell’ennesimo paradosso dello Champagne: più il vino base è neutro e meglio è, deve avere acidità alta e basso tenore alcolico (tanto poi quest’ultimo si alzerà con la presa di spuma che avviene a temperature basse proprio per favorire un buon bouquet e un miglior perlage).
L’ASSEMBLAGGIO
Una volta ottenuta la batteria di vin clair in rappresentanza di ciascuna vigna e ciascun vitigno, entra in gioco il talento dello chef de cave, la figura che ha il compito di creare l’assemblaggio definitivo per ciascuna etichetta aziendale. Come un alchimista lo chef de cave sceglierà le partite, anche di diverse annate, da assemblare per l’ottenimento delle varie cuvée aziendali e quelle destinate invece a diventare “vini di riserva”, per essere poi utilizzati negli anni a venire. Un lavoro complesso che si deve svolgere nell’ossequioso rispetto dello stile aziendale.
La capacità di gestione dei “vini di riserva”, patrimonio inestimabile delle grandi maison, oltre a indirizzare il “gusto” aziendale, permette anche di correggere le caratteristiche di millesimi meno fortunati. Questa tecnica è conosciuta come cabotage.
E’ facile intuire quindi che il valore dell’assemblaggio finale, che darà origine al nostro Champagne, sarà così superiore a quello di ogni singolo vino. Questa operazione è complessa poiché la selezione e il bilanciamento delle “basi” necessitano di tanta esperienza e memoria per prevedere l’effetto della combinazione nel lungo periodo. Storicamente questo è anche il grande valore attribuito all’abate Dom Perignon, uno chef de cave ante-litteram, che ebbe il merito e la capacità di riconoscere il pregio qualitativo di uve provenienti da appezzamenti differenti ed assemblarle sapientemente insieme!
TO BE CONTINUED
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Bibliografia
- Guide des Vins de France 2013
- Champagne ; il sacrificio di un territorio – Phortos Edizioni, Roma 2008 (Cogliati Samuel)
- Champagne, il sogno fragile – Possibilia editore, Mottola 2013 (Cogliati Samuel)
- Le Vin. Le connaitre, le choisir, l’apprècier – Hachette Pratique, 2010 (Morvan Thierry)
- Champagne – Le Guide – Editions Hermè, Paris 1997 (Rabaudy Nicolas)
- Champagne ! Histoire inattendue, les Editions de l’Atelier, 2012 (Wolikow Claudine e Serge)
- Le Gout du vin. Le grand livre de la degustation, Dunod, Bordas, Paris 1983 (Peynaud Emile)
- Le livre d’or du Champagne, Editions Grand Pont, Lausanne, 1984 (Bonal Francois)
- Champagne. Les Terroirs – Le vigneron Champenois 1998/1999 – sevizi tecnici del CIVC
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Sitografia: