FRANCIA: J’ADORE LE CHAMPAGNE! ( Piccolo vademecum per iniziandi, settima e ultima parte )
di STEFANO ZAGHINI - 05 settembre 2016
Nel metodo di produzione dello Champagne resta da illustrare il suo ‘segreto di pulcinella’: l’elaborazione esclusiva del dosaggio finale. Prima di questo passaggio ci sono tuttavia due fasi importanti e concatenate tra loro che devono essere descritte.
DAL REMUAGE AL DEGORGEMENT
Al termine del periodo destinato alla presa di spuma nel buio e nel fresco della cantina, si deve rendere limpido il liquido segnato dai residui della rifermentazione.
Il processo di pulizia si avvia inclinando le bottiglie sul collo per fare scivolare la particelle solide verso il tappo. Questa operazione per i “piccoli” recoltant-manipulant, o per produzioni di particolare pregio, può essere ancora svolta manualmente (come da tradizione storica), utilizzando speciali cavalletti in legno, detti pupitre, provvisti di fori ovali che consentono di posizionare le bottiglie quasi in verticale. Un’invenzione comparsa in Champagne per la prima volta nel 1918 nelle cantine della Vedova Clicquot.
Con una rotazione giornaliera (remuage, dal verbo remuer: scuotere) di un ottavo di giro, nell’arco di 6 settimane le bottiglie si ritroveranno con i depositi raccolti sul fondo del tappo. Un remuer professionista è in grado di ruotare fino a 60.000 bottiglie al giorno.
Nonostante la poesia di questa pratica, oggi il remuage avviene solitamente in modo meccanico attraverso le gyropalette, una tecnologia nata in Spagna per il Cava e introdotta in Francia dal produttore Claude Cazals. Questa macchina attraverso due bracci meccanici comanda altrettanti “cestoni” colmi di bottiglie (a seconda dei modelli stivano tra le 183 e 504 bottiglie), che girano sul proprio asse in modo programmatico, riducendo il tempo della procedura ad una sola settimana e favorendo anche l’ottimizzazione dello spazio necessario allo stoccaggio.
A questo punto si può procedere all’espulsione dei residui attraverso due differenti procedimenti di sboccatura (dégorgement): quello manuale, storicamente detto à la volée, oppure quello meccanizzato che si suole fare oggi, detto à la glace.
Il primo, eseguito interamente a mano con l’ausilio di un cavatappi speciale, è una tecnica sempre meno impiegata se non per produzioni di grossi formati o alcune cuvée de prestige a tiratura limitata (tra cui quelle con il tappo in sughero). Per il secondo, invece, si utilizza un macchinario che immerge il collo delle bottiglie in una salamoia a – 25°C, congelandone i primi centimetri di vino contenenti i residui. Un cilindro di ghiaccio che viene espulso per effetto della pressione interna durante l’immediata stappatura della bottiglia. Non è dato sapere se le obiezioni di qualche vignaiolo verso lo shock termico prodotto dalla glace abbiano in effetti un fondamento nel compromettere la fragranza dello Champagne finale.
DAL DOSAGE ALL’HABILLAGE
Vi siete mai chiesti perché il collo delle bottiglie di Champagne, come tutti (o quasi) gli spumanti del resto, sono decorate con la cravatta? Si chiama coiffe, è un foglio di alluminio o di stagno, un semplice espediente (quasi teatrale) che serve a nascondere eventuali imprecisioni nel livello di liquido presente all’interno della bottiglia. Dopo l’espulsione dei sedimenti, infatti, le bottiglie devono essere ricolmate con una piccola dose di vino necessaria a compensarne la parte persa durante il dégorgement (circa 2.5 cl.).
Questa aggiunta di liquido esogeno, detto liqueur d’expedition o de dosage, non è sempre decisiva per migliorare la struttura del vino, ma di certo ne influenza il gusto finale. In sostanza si addiziona lo Champagne con uno sciroppo ottenuto da una certa quantità dei migliori vini di riserva e da zucchero in dosi variabili. Tuttavia, a seconda del risultato che si vuole ottenere, può essere utilizzato anche il medesimo Champagne o, di rado, una miscela di vino e acquavite o cognac. Lo zucchero può essere sostituito dal mosto concentrato rettificato (MCR) in quanto più neutro e non ossidativo, ma ad alcuni produttori è inviso in quanto non originario della Champagne.
LE TIPOLOGIE DI CHAMPAGNE IN FUNZIONE DEL DOSAGGIO:
NATURE O PAS DOSÉ: zucchero inferiore a 3 g/l. Questi termini possono essere usati unicamente per i prodotti che non hanno subito aggiunta di zucchero dopo la fermentazione secondaria.
Gusto crudo e molto secco, per palati allenati!
EXTRA BRUT: zucchero compreso tra 0 e 6 g/lt. Tipologia molto in auge tra i produttori; probabilmente la preferita per chi scrive perché coniuga gusto asciutto e fragranza a una giusta rotondità di beva.
BRUT: Zucchero inferiore a 12 g/lt. Ottenuta per la prima volta nel 1874 da madame Pommery (con cui ha conquistato il mondo anglosassone), è ancora oggi la tipologia più bevuta al mondo. Per via dell’ampia forbice di zuccheraggio racchiude al proprio interno versioni più morbide e versioni decisamente più asciutte. A volte l’eccessivo zuccheraggio provoca un effetto coprente non solo dei difetti ma anche della qualità delle uve.
EXTRA DRY: da 12 a 17 g/lt. Tipologia molto rara, gusto amabile tendente al dolce.
SEC O DRY: da 17 a 32 g/lt. Tipologia molto rara, gusto abboccato, dolce.
DEMI SEC: da 32 a 50 g/lt. E’ la tipologia più prodotta tra le versioni dolci e quella che richiama maggiormente le prime “sperimentali” versioni dello Champagne. Ideale da abbinare ai formaggi erborinati.
DOUX: oltre 50 g/lt. Tipologia rarissima. La dolcezza del gusto la rende abbinabile esclusivamente a dessert.
Dopo il dosage la bottiglia viene chiusa con un tappo a fungo compresso nel collo e composto da uno o due strati di sughero puro incollati sulla base. La sua stabilità è garantita da gabbietta metallica chiamata muselet.
Nei mesi successivi lo Champagne supera lentamente il trauma della sboccatura e si armonizza con l’eventuale dosaggio. Per permettergli di amalgamarsi meglio alla liqueur de dosage le bottiglie vengono scosse con vigore e messe a riposo nuovamente in cantina. Questa nuova sosta varia a seconda dell’importanza del prodotto e per le etichette più prestigiose può durare anche un paio di anni. Prima della commercializzazione le bottiglie vengono lavate ed etichettate, (letteralmente vestite) e con la fase dell’habillage lo Champagne è finalmente pronto ad aggredire il mercato.
Sul gusto finale dello champagne, oltre alla liqueur de dosage, a livello organolettico (e didattico) incidono ovviamente anche le caratteristiche varietali dei tre vitigni principali utilizzati nell’assemblaggio: chardonnay, pinot nero e pinot meunier. E’ molto difficile riconoscere la percentuale delle dosi nella composizione finale delle cuvée, soprattutto negli Champagne invecchiati e dal gusto più maturo e ossidativo, sebbene un palato esperto possa apprezzarne certamente le sfumature.
L’unica varietà a bacca bianca è lo chardonnay, un vitigno ecclettico che presenta aromi primari fruttati di agrumi, mela golden, pesca e frutta esotica, secondari di tè e tabacco dolce, virando con l’invecchiamento verso note più terziarie di tostatura. Vinificato in purezza determina la tipologia Blanc de Blancs.
Il pinot noir apporta profumi primari più vinosi e fragranti di lampone e fragola, ciliegia e violetta, secondari di speziatura e note animali, con sviluppi biscottati, nella fase terziaria dell’affinamento in vetro. Vinificato in purezza determina la tipologia Blanc de Noirs.
Il pinot meunier, detto del mugnaio per via della pruina bianca che ricopre i suoi acini, apporta invece aromi più semplici e freschi di mela renetta, che evolvono arricchendosi di sfumature vegetali e rustiche. Raramente viene vinificato in purezza, ma più spesso assemblato agli altri due nella composizione archetipa dello Champagne.
Ora non vi resta che stappare e … stappare ancora!
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Fonti bibliografiche e immagini:
DAL REMUAGE AL DEGORGEMENT
Al termine del periodo destinato alla presa di spuma nel buio e nel fresco della cantina, si deve rendere limpido il liquido segnato dai residui della rifermentazione.
Il processo di pulizia si avvia inclinando le bottiglie sul collo per fare scivolare la particelle solide verso il tappo. Questa operazione per i “piccoli” recoltant-manipulant, o per produzioni di particolare pregio, può essere ancora svolta manualmente (come da tradizione storica), utilizzando speciali cavalletti in legno, detti pupitre, provvisti di fori ovali che consentono di posizionare le bottiglie quasi in verticale. Un’invenzione comparsa in Champagne per la prima volta nel 1918 nelle cantine della Vedova Clicquot.
Con una rotazione giornaliera (remuage, dal verbo remuer: scuotere) di un ottavo di giro, nell’arco di 6 settimane le bottiglie si ritroveranno con i depositi raccolti sul fondo del tappo. Un remuer professionista è in grado di ruotare fino a 60.000 bottiglie al giorno.
Nonostante la poesia di questa pratica, oggi il remuage avviene solitamente in modo meccanico attraverso le gyropalette, una tecnologia nata in Spagna per il Cava e introdotta in Francia dal produttore Claude Cazals. Questa macchina attraverso due bracci meccanici comanda altrettanti “cestoni” colmi di bottiglie (a seconda dei modelli stivano tra le 183 e 504 bottiglie), che girano sul proprio asse in modo programmatico, riducendo il tempo della procedura ad una sola settimana e favorendo anche l’ottimizzazione dello spazio necessario allo stoccaggio.
A questo punto si può procedere all’espulsione dei residui attraverso due differenti procedimenti di sboccatura (dégorgement): quello manuale, storicamente detto à la volée, oppure quello meccanizzato che si suole fare oggi, detto à la glace.
Il primo, eseguito interamente a mano con l’ausilio di un cavatappi speciale, è una tecnica sempre meno impiegata se non per produzioni di grossi formati o alcune cuvée de prestige a tiratura limitata (tra cui quelle con il tappo in sughero). Per il secondo, invece, si utilizza un macchinario che immerge il collo delle bottiglie in una salamoia a – 25°C, congelandone i primi centimetri di vino contenenti i residui. Un cilindro di ghiaccio che viene espulso per effetto della pressione interna durante l’immediata stappatura della bottiglia. Non è dato sapere se le obiezioni di qualche vignaiolo verso lo shock termico prodotto dalla glace abbiano in effetti un fondamento nel compromettere la fragranza dello Champagne finale.
DAL DOSAGE ALL’HABILLAGE
Vi siete mai chiesti perché il collo delle bottiglie di Champagne, come tutti (o quasi) gli spumanti del resto, sono decorate con la cravatta? Si chiama coiffe, è un foglio di alluminio o di stagno, un semplice espediente (quasi teatrale) che serve a nascondere eventuali imprecisioni nel livello di liquido presente all’interno della bottiglia. Dopo l’espulsione dei sedimenti, infatti, le bottiglie devono essere ricolmate con una piccola dose di vino necessaria a compensarne la parte persa durante il dégorgement (circa 2.5 cl.).
Questa aggiunta di liquido esogeno, detto liqueur d’expedition o de dosage, non è sempre decisiva per migliorare la struttura del vino, ma di certo ne influenza il gusto finale. In sostanza si addiziona lo Champagne con uno sciroppo ottenuto da una certa quantità dei migliori vini di riserva e da zucchero in dosi variabili. Tuttavia, a seconda del risultato che si vuole ottenere, può essere utilizzato anche il medesimo Champagne o, di rado, una miscela di vino e acquavite o cognac. Lo zucchero può essere sostituito dal mosto concentrato rettificato (MCR) in quanto più neutro e non ossidativo, ma ad alcuni produttori è inviso in quanto non originario della Champagne.
LE TIPOLOGIE DI CHAMPAGNE IN FUNZIONE DEL DOSAGGIO:
NATURE O PAS DOSÉ: zucchero inferiore a 3 g/l. Questi termini possono essere usati unicamente per i prodotti che non hanno subito aggiunta di zucchero dopo la fermentazione secondaria.
Gusto crudo e molto secco, per palati allenati!
EXTRA BRUT: zucchero compreso tra 0 e 6 g/lt. Tipologia molto in auge tra i produttori; probabilmente la preferita per chi scrive perché coniuga gusto asciutto e fragranza a una giusta rotondità di beva.
BRUT: Zucchero inferiore a 12 g/lt. Ottenuta per la prima volta nel 1874 da madame Pommery (con cui ha conquistato il mondo anglosassone), è ancora oggi la tipologia più bevuta al mondo. Per via dell’ampia forbice di zuccheraggio racchiude al proprio interno versioni più morbide e versioni decisamente più asciutte. A volte l’eccessivo zuccheraggio provoca un effetto coprente non solo dei difetti ma anche della qualità delle uve.
EXTRA DRY: da 12 a 17 g/lt. Tipologia molto rara, gusto amabile tendente al dolce.
SEC O DRY: da 17 a 32 g/lt. Tipologia molto rara, gusto abboccato, dolce.
DEMI SEC: da 32 a 50 g/lt. E’ la tipologia più prodotta tra le versioni dolci e quella che richiama maggiormente le prime “sperimentali” versioni dello Champagne. Ideale da abbinare ai formaggi erborinati.
DOUX: oltre 50 g/lt. Tipologia rarissima. La dolcezza del gusto la rende abbinabile esclusivamente a dessert.
Dopo il dosage la bottiglia viene chiusa con un tappo a fungo compresso nel collo e composto da uno o due strati di sughero puro incollati sulla base. La sua stabilità è garantita da gabbietta metallica chiamata muselet.
Nei mesi successivi lo Champagne supera lentamente il trauma della sboccatura e si armonizza con l’eventuale dosaggio. Per permettergli di amalgamarsi meglio alla liqueur de dosage le bottiglie vengono scosse con vigore e messe a riposo nuovamente in cantina. Questa nuova sosta varia a seconda dell’importanza del prodotto e per le etichette più prestigiose può durare anche un paio di anni. Prima della commercializzazione le bottiglie vengono lavate ed etichettate, (letteralmente vestite) e con la fase dell’habillage lo Champagne è finalmente pronto ad aggredire il mercato.
Sul gusto finale dello champagne, oltre alla liqueur de dosage, a livello organolettico (e didattico) incidono ovviamente anche le caratteristiche varietali dei tre vitigni principali utilizzati nell’assemblaggio: chardonnay, pinot nero e pinot meunier. E’ molto difficile riconoscere la percentuale delle dosi nella composizione finale delle cuvée, soprattutto negli Champagne invecchiati e dal gusto più maturo e ossidativo, sebbene un palato esperto possa apprezzarne certamente le sfumature.
L’unica varietà a bacca bianca è lo chardonnay, un vitigno ecclettico che presenta aromi primari fruttati di agrumi, mela golden, pesca e frutta esotica, secondari di tè e tabacco dolce, virando con l’invecchiamento verso note più terziarie di tostatura. Vinificato in purezza determina la tipologia Blanc de Blancs.
Il pinot noir apporta profumi primari più vinosi e fragranti di lampone e fragola, ciliegia e violetta, secondari di speziatura e note animali, con sviluppi biscottati, nella fase terziaria dell’affinamento in vetro. Vinificato in purezza determina la tipologia Blanc de Noirs.
Il pinot meunier, detto del mugnaio per via della pruina bianca che ricopre i suoi acini, apporta invece aromi più semplici e freschi di mela renetta, che evolvono arricchendosi di sfumature vegetali e rustiche. Raramente viene vinificato in purezza, ma più spesso assemblato agli altri due nella composizione archetipa dello Champagne.
Ora non vi resta che stappare e … stappare ancora!
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Fonti bibliografiche e immagini:
- Fotografia di copertina © Olivier Colas, https://olouf.fr
- Guide des Vins de France 2013
- Champagne; il sacrificio di un territorio – Phortos Edizioni, Roma 2008 (Cogliati Samuel)
- Champagne; il sogno fragile – Possibilia editore, Mottola 2013 (Cogliati Samuel)
- Le Gout du vin. Le grand livre de la degustation, Dunod, Bordas, Paris 1983 (Peynaud Emile)
- Le migliori 99 Maison di Champagne 2015-16 - Edizioni Estemporanee (Luca Burei – Alfonso Isinelli)
- Grandi Champagne Edizione 2014-15 – Guida alle migliori bollicine francesi in Italia - Librerie Mondadori (Alberto Lupetti)
- Guida Monsieur 2010 – Champagne : 99 bollicine ai voti – Swan Group