IL PODERE DELLA CIVETTAJA, STORIA DI UN PINOT NERO IN BILICO TRA APPENNINO E BORGOGNA.

IL PODERE DELLA CIVETTAJA, STORIA DI UN PINOT NERO IN BILICO TRA APPENNINO E BORGOGNA.
Nell’arco di un decennio l’Alto Casentino si è imposto come il territorio più à la page per il Pinot Nero italico. La natura dei suoli, il clima continentale e l’elevato delta termico sono condizioni che sembrano incoraggiare un modello produttivo che ha nei vini della Côte d’Or il proprio pigmalione.
 
A decretare il successo di questo frammento dell’Appennino sono stati Vincenzo Tommasi, anima del Podere della Civettaja, e Federico Staderini, padrone di casa al Podere Santa Felicita. Due vignaioli di sensibilità non comune, uniti, nel personale approccio a questa varietà, dalla scelta del luogo di origine e dall’esito favorevole, ma distanti nelle rotte stilistiche perseguite, in rigoroso ossequio al proprio essere: cartesiano, scrupoloso e quasi ossessivo Tommasi; smaliziato, intuitivo e quasi sciamanico Staderini.
 
Nelle righe che seguono trovate il resoconto di una giornata passata in compagnia di Vincenzo Tommasi al Podere della Civettaja. Una lunga chiacchierata intorno al luogo e all’uomo artefici di quello che oggi è a tutti gli effetti un vino “cult” dell’enologia nazionale e, senza timore di smentita, il più borgognone tra i Pinot Nero italiani.
 
Concludono il racconto le impressioni generate dall’assaggio di alcune delle ultime annate prodotte.
 
IL TERRITORIO
 
Il Casentino è una delle quattro vallate della provincia di Arezzo. Si sviluppa a nord della città, con un orientamento nord-sud e una forma ovale (60km x 30km). È solcata dal primo tratto del fiume Arno, la cui sorgente si trova sul Monte Falterona (1650 m/slm), che insieme al Monte Falco (1658 m/slm) costituisce il limite settentrionale di questa vallata, separandola dalla Romagna.
 
L’orografia di questa vallata, stretta e avvolta dalle vette dell’Appennino tra Camaldoli e Badia Prataglia (le cui altitudini arrivano sempre a 1600 m/slm), è responsabile di un clima appenninico a tendenza continentale, con un delta termico giornaliero più elevato rispetto alle medie recenti di Gevrey-Chambertin. Il suolo è di origine marnosa, segnato da brecce calcaree laddove il livello di argilla non supera il 50%.
 
 
IL VIGNETO E LA CREAZIONE DELL’IMPIANTO
 
A livello visivo le vigne del Podere della Civettaja e del Podere Santa Felicita si presentano a corpo unico. Il vigneto del Podere della Civettaja, messo a dimora a partire dal 2006, si estende per tre ettari, interamente dedicati al pinot nero e suddivisi in sei vigne poste tra i 475 e i 510 m/slm. La densità dell’impianto è di 9.000/10.000 ceppi per ettaro.
 
LE SEI VIGNE:
 
Lupinato 5800 mq
Belfiore 1700 mq
Alle Strade 3800 mq
Schegge 4800 mq
Alberelli 7500mq
Romolino 6500 mq
 
Alle Strade è l’unica vigna realizzata con una selezione clonale di pinot nero; una vigna che secondo Vincenzo si traduce in un vino “ordinario” e che per questo motivo raramente confluisce nel “taglio” finale.
 
Le restanti vigne sono il risultato di una selezione massale di Tres Fin, biotipo estremamente qualitativo e ancestrale di pinot nero di Borgogna, caratterizzato tuttavia da rese molto basse.
 
Alberelli e Romolino, le due vigne più estese, rappresentano l’ossatura del Podere della Civettaja. Su Romolino si concentrano le argille più fini, quelle che per l’illuminato agronomo Claude Bourguignon (autore, tra gli altri, del celebre “Il suolo. Un patrimonio da salvare”, Slow Food 2011) mettono le piante nelle migliori condizioni per esprimere il proprio potenziale di finezza.
 
Il portainnesto scelto è la Riparia Gloire de Montpellier, specie pura e quindi non ibridata (al pari del Rupestris du Lot), oggi in disuso per lo scarso vigore e la debole resistenza al calcare attivo. Una scelta adottata con l’obiettivo di spingere la vite a produrre in condizioni difficili ed esprimere l’uva più qualitativa possibile.
 
LE SCELTE DI VINIFICAZIONE
 
In cantina ogni vigna è vinificata individualmente e il vino che se ne ottiene mantenuto separato fino alla creazione della massa finale, subito prima dell’imbottigliamento.
L’uva, una volta raccolta, viene diraspata e depositata ad acino intero in vasche di cemento (10 e 15 quintali) e barrique verticali. Normalmente circa un terzo della massa viene raffreddato prima dell’inizio della fermentazione. L’attività fermentativa è affidata ai lieviti indigeni, anche se nelle annate più calde la si stimola attraverso la creazione di un pied de cuve.
 
La macerazione si protrae una ventina di giorni, durante i quali si eseguono solamente rimontaggi, nella speranza di conservare gli acini interi. L’integrità dell’acino, oltre a garantire gli effetti benefici di una fermentazione intracellulare (maggiore glicerina e levità dei profumi), consente di imprigionare i vinaccioli, responsabili, soprattutto nel pinot nero, della cessione di ingenti quantità di tannini tutt’altro che nobili.
 
L’unica follatura si esegue un paio di giorni prima della svinatura, che avviene con una piccola porzione di zuccheri ancora da svolgere.
 
Da ogni svinatura Vincenzo ottiene un “fiore” ancora in movimento, che finisce direttamente nei contenitori di maturazione, e due diversi vini di pressa: il primo, uno sgrondo feccioso più torbido e ricco di zuccheri, e il secondo, il torchiato vero e proprio, più scuro e ricco di elementi astringenti. Questi due vini di pressa vengono raccolti in damigiane distinte. Dopo un paio di giorni di decantazione, la parte più pulita di entrambi i torchiati viene utilizzata per colmare i legni in cui si trova il “fiore” ottenuto dalle stesse uve (e quindi dalla stessa vigna). La percentuale delle tre frazioni varia di annata in annata, anche se di norma i legni di maturazione - barrique e pièces di secondo e terzo passaggio che Vincenzo acquista in Francia - accolgono un 80% di “fiore”, un 10/15% di pressato feccioso e zuccherino e un 5/10% di torchiato vero e proprio.
 
Al termine della malolattica si effettua un travaso mantenendo il liquido al riparo dall’ossigeno. Infine avviene il riposo negli stessi legni fino al momento di accogliere l’annata successiva.
 
 
L’ARTEFICE E IL PODERE DELLA CIVETTAJA
 
Vincenzo Tommasi è nato sotto il segno della vergine il 19 settembre del 1964. Si è iscritto alla facoltà di Agraria nel 1984, abbracciando la carriera di consulente agronomo dai primi anni Novanta. L’amore per la Borgogna lo ha spinto al folgorante incontro con Henri Jayer, artefice del rinnovamento della Borgogna negli anni Sessanta e Settanta. Nel 2006 ha acquistato i primi appezzamenti del Podere della Civettaja. La prima raccolta è avvenuta nel 2008 ed ha permesso di ottenere due damigiane. La prima annata commercializzata è stata la 2009. Al suo fianco nella conduzioni dell’azienda ci sono i giovani Alessio Puccini e Lucia Stefani.
 
 
RESOCONTO DEGLI ASSAGGI
 
Podere della Civettaja 2013: al termine di una stagione agronomica pressoché perfetta, tra l’8 e il 10 settembre Vincenzo raccoglie uve con parametri impeccabili. Le fermentazioni si svolgono senza intoppi approdando a un vino con colorazioni cromatiche intense come si è rivisto successivamente solo nel 2020. A distanza di dieci anni il vino mantiene un colore ancora integro. Il frutto è maturo, la spezia insiste su un varietale elegante. Il legno marca senza disturbare. La bocca mostra un ingresso elegante, vellutato, di estrazione tannica davvero raffinata.
 
Podere della Civettaja 2014: un’annata fragile, piovosa e poco luminosa. Il giorno medio di raccolta è stato il 104esimo. Il vino vive di trasparenze e mostra un fascino nostalgico. Il frutto, per quanto languido, continua a stringere il proprio sodalizio con il varietale. Il rovere tuttavia appare isolato. Il sorso è leggero, saporito, inaugurato come di consueto da un ingresso di velluto. Il sale spicca su una freschezza che appare in parte diluita. Lo sviluppo è tenue e il finale svanisce pian piano come in un acquerello.
 
Podere della Civettaja 2016: una delle versioni che Vincenzo ricorda con maggiore entusiasmo, figlia di un’annata di equilibrio e dalla raccolta tardiva. Nel calice svela un profilo austero, che accentua la sensazione di profondità. Il frutto è scuro e il varietale definito. L’ossigeno lo arricchisce di dettagli. La bocca mostra con coerenza una struttura solida e uno sviluppo che dal velluto passa alla seta. Estrazione tannica aristocratica. Un vino che sta continuando a crescere in bottiglia e che mostra un ottimo potenziale evolutivo.
 
Podere della Civettaja 2017: l’annata è di quelle calde e precoci, per fortuna non particolarmente siccitosa. Il giorno medio di raccolta è stato l’89esimo. È il primo vino tra quelli assaggiati che mostra un tratto meno appenninico e più mediterraneo. Il varietale è deciso, caldo, e il frutto maturo. Lo sviluppo del quadro olfattivo viaggia in superficie. La bocca è proporzionata, armonica, di ingresso calibrato ed elegante. La struttura è agile e si muove con leggerezza. Il sale ritorna in evidenza e aiuta a contenere il calore in chiusura.
 
Podere della Civettaja 2018: annata molto produttiva, che ha indotto Vincenzo a effettuare un diradamento del 20% dei grappoli. Ne è uscita versione a due marce: quella più scura del naso, dove nell’intreccio tra varietale, frutto e élévage dominano le sensazioni più mature e dolci, e quella più tesa del palato, dove a dominare sono invece una freschezza spigliata e un tannino più rigoroso. Non mancano sapore e allungo salino, anche senza quella gentilezza che rappresenta uno dei tratti distintivi di questo vino.
 
Podere della Civettaja 2019: la vendemmia si è svolta in soli quattro giorni i primi di settembre, al fine di evitare eccessi di maturità e di concentrazione di zuccheri. Nel calice si trova una versione piena di armonia e di rara proporzione tra frutto e varietale. L’aria lo arricchisce di toni chiari e agrumati. L’ingresso al palato è delicato, il sorso segnato da una freschezza calibrata e saporita. L’estrazione tannica è di foggia nobiliare. L’impressione è che si tratti di una versione di grande propensione evolutiva.
 
Podere della Civettaja 2020: l'ultima annata presentata sul mercato è ancora bisognosa di tempo in vetro. Il naso è incentrato sul varietale, tra geranio, fiori blu e piccoli frutti scuri. La gestione dei legni aggiunge senza sottrarre. È una versione dalle atmosfere più notturne rispetto all’annata precedente. L’ingresso al palato, sempre nel segno dell’eleganza, è ritmato da una freschezza vitale. Il tannino evidenzia la medesima qualità estrattiva, ma anche una struttura appena più accentuata. La chiusura è all’insegna del sale.