IL SOAVE CLASSICO ALLA PROVA DEL TEMPO
di VITALIANO MARCHI - 16 marzo 2015
Sembra quasi paradossale che Soave, un piccolo e suggestivo borgo medioevale a due passi da Verona, regali il proprio nome a una delle denominazioni di origine più prolifiche del nostro Paese. Un vero e proprio gigante dell’enologia nazionale, conosciuto e distribuito in tutto il mondo grazie a una produzione che supera i 70 milioni di bottiglie.
IL TERRITORIO
Situata nel settore orientale della provincia di Verona, alle pendici dei Monti Lessini, l’area di produzione del Soave, in virtù di un vigneto tra i più specializzati e fitti d’Europa, esprime numeri produttivi elevatissimi nonostante un’estensione nel complesso contenuta.
Superficie vitata e superficie complessiva si sovrappongono quasi ermeticamente in un legame che si intuisce percorrendo il tratto della A4 che costeggia la denominazione e che si palesa entrando nelle strade che collegano i comuni del comprensorio.
L’area in produzione conta 6.500 ettari vitati, suddivisi tra circa 3.000 vignaioli, di cui solamente un centinaio cura interamente la filiera produttiva commercializzando il vino con un proprio marchio; questo in aperto contrasto con la stragrande maggioranza dei coltivatori che si limitano a conferire le uve agli oltre 350 imbottigliatori certificati della zona o alle cantine sociali, che collettivamente “gestiscono” l’80% del vigneto.
Dalla prima “certificazione” di qualità, ottenuta con Regio Decreto nel 1936, il perimetro dell’area produttiva, spinto da un enorme successo commerciale sfociato nel raggiungimento della DOC nel 1968, si è progressivamente dilatato coinvolgendo tutte le aree limitrofe, pianure comprese.
Un ampliamento, snobbato durante gli anni della diluizione, che nell’ultimo ventennio ha stimolato una presa di coscienza sulle eterogeneità presenti nel comprensorio.
In quest’area, infatti, la composizione del terreno spazia da formazioni basaltico/calcaree di origine prettamente vulcanica nelle aree di collina, a composizioni limoso/sabbiose di origine alluvionali nelle zone più pianeggianti.
Appare quindi evidente come il territorio della zona del SOAVE DOC abbia al suo interno delle diversità rilevanti, accentuate prevalentemente della quota altimetrica in cui si trovano i vigneti.
Per questo motivo, per la zona storica, corrispondente ai 1700 ettari vitati nell’area collinare dei comuni di Soave e Monteforte d’Alpone, è stata concessa la possibilità di aggiungere il termine “CLASSICO”, mentre per la zona allargata, invece, corrispondente ai 2400 ettari vitati nella fascia collinare che va da San Martino Buon Albergo a Roncà, interessando i rilievi della Val di Mezzane, Val d'Illasi, Val Tramigna e Val d'Alpone, è stata coniata la dicitura “COLLI SCALIGERI”. A queste due sottozone vanno aggiunti i 2400 ettari vitati delle zone pianeggianti per cui non è prevista alcuna dicitura aggiuntiva.
Dal punto di vista legislativo, dal 2001 è stata istituita anche la DOCG Soave Superiore, una tipologia che non sembra tuttavia avere trovato, almeno per il momento, molti consensi nel comparto produttivo, in quanto più legata a parametri analitici piuttosto che territoriali.
Appare più interessante e attuale, invece, il tentativo di “mappare” con maggiore precisione le singole zone, con lo scopo di identificare veri e propri “Cru” all’interno di un territorio che sembra avere la giusta maturità per ambire a questo prestigioso traguardo.
LA STORIA
Alcuni reperti fossili, ritrovati nella valle d’ Alpone, testimoniano come i progenitori della futura vite selvatica europea fossero presenti già 40 milioni di anni fa.
Quando i romani, nella loro incessante opera di conquista, arrivarono da queste parti, trovarono già attiva la produzione di vino retico, proveniente cioè da viti selvatiche europee. Sembra che la nascita di alcuni vitigni moderni, tra cui la garganega, derivi proprio dal contatto fra viti retiche e vitigni portati dai romani dal bacino del mediterraneo.
Già da prima dell’anno Mille i vini provenienti da questo territorio vengono giudicati di alta qualità e citati in numerose opere letterarie.
Intorno al XVI secolo inizia qui un interessantissimo laboratorio produttivo: si comincia a parlare di viticoltura “a palo secco”, staccando le viti dagli alberi che fungevano da supporto (vite maritata) e passando a quelli che sarebbero stati i moderni filari. Nasce in questo periodo la coltivazione a pergola e si diffonde la viticoltura a viti basse.
Nei primi dell’Ottocento nasce a Verona quella che sarà definita la “fabbrica del vino”, una sorta di centro studi che, anche attraverso il confronto con i vini del Reno e quelli ungheresi, comincia a studiare le migliori combinazioni qualitative fra garganega e trebbiano veronese, differenziando le produzioni di qualità da quelle più quantitative.
Infine, nel ‘900 comincia la costituzione delle prime cantine sociali, con lo scopo di costituire organizzazioni produttive e commerciali capaci di contrastare la concorrenza di nuovi soggetti vinicoli extraeuropei.
In seguito, dopo il dramma della fillossera, si costituirà un consorzio per la ricostruzione dei vigneti; un organo che, dopo diverse peripezie legate ai periodi turbolenti del ’900, si trasformerà nell’odierno Consorzio di Tutela Vino Soave, protagonista anche della moderna riorganizzazione della denominazione.
I VITIGNI
I due vitigni storicamente caratterizzanti del Soave sono garganega e trebbiano di Soave (o veronese), considerati da sempre vitigni autoctoni. La garganega è il vitigno principale della denominazione, tanto che deve essere presente per almeno il 70%, e sempre più spesso, nelle produzioni di qualità, viene utilizzato in purezza.
Questa varietà ha trovato nel corso del tempo il suo habitat ideale soprattutto sui rilievi collinari, dove i terreni tufacei di origine vulcanica uniti ad affioramenti calcarei le hanno permesso di esprimere al meglio le sue caratteristiche. Si tratta di un vitigno che non possiede una spiccata aromaticità, ma che regala comunque un delicato ventaglio di profumi floreali, di agrumi e una mineralità “pirica” molto nitida. La bocca è segnata da una notevole spina dorsale acido-sapida, con la sapidità che si esalta nei terreni più storici e che permette di contrastare un discreto peso e garantire sempre un’adeguata agilità.
Riveste, invece, sempre minore importanza la presenza del trebbiano, soprattutto in considerazione del fatto che nei moderni disciplinari di produzione può essere sostituito in tutto o in parte dallo chardonnay, con un possibile saldo del 5% di pinot bianco o altri vitigni a bacca bianca coltivati nel veronese.
LA DEGUSTAZIONE
L’assaggio ha rivelato un tema ricorrente in tutti i vini degustati, riconducibile alla particolare finezza olfattiva che, unita a una solida struttura gustativa, consente quasi sempre di creare un quadro particolarmente elegante.
Anche nei vini che hanno fatto affinamento in legno, e che di conseguenza tendono ad essere più opulenti, si resta piacevolmente stupiti per l’equilibrio e l’eleganza, sempre sostenuti da una freschezza e una sapidità, mai invadenti, che garantiscono una gradevole bevibilità.
Le recensioni riguardano esclusivamente la tipologia Soave Classico e presentano un focus sui vini di tre aziende di riferimento della denominazione (Suavia, Prà e Cà Rugate), a cui si è aggiunta la positiva apparizione del vino dell’azienda Pagani. Un ringraziamento d’obbligo spetta a Edoardo Duccio Armenio, attento relatore Onav e ideatore della serata.