LA STOPPA, MACCHIONA IN VERTICALE
di FILIPPO APOLLINARI - 05 luglio 2016
Sollecitato dall'editoriale di luglio, che stimola preziose riflessioni sul discusso concetto di "naturale", ho voluto dare nuova linfa a un articolo - scritto nel 2013 per Reporter Gourmet - dedicato a una delle aziende che maggiormente catalizzano l'attenzione su questo delicato argomento: La Stoppa di Elena Pantaleoni.
Il continuo girovagare per l’Italia del vino mi ha portato, sul finire dello scorso anno, a conoscere da vicino lo spirito guida di alcune aziende che da tempo alimentano il circuito del vino naturale, oggi più che mai al centro di un intenso dibattito critico tra operatori e appassionati.
Una di queste tappe ha visto coinvolta la nota cantina La Stoppa, da tempo indiscussa protagonista nel misconosciuto comprensorio dei Colli Piacentini: una visita che si è rivelata particolarmente proficua e che per questo ho voluto raccontare su Enocode.
Il racconto passa soprattutto attraverso una verticale di sei annate del rosso Macchiona, il vino con cui Elena Pantaleoni, la titolare dell’azienda, esprime la sua idea di territorio.
IL TERRITORIO
Dolci e curate, le colline che orbitano nei pressi della città di Piacenza riescono a contagiarmi ogni volta che ho l’opportunità di osservarle da vicino: l’atmosfera è serena, bucolica, avvolta da una quiete che è ormai raro scorgere nel resto del Paese.
Nessuna soggezione rispetto al vicino Oltrepò Pavese, al poco distante Tortonese e alle non lontane Langhe, ma una dignità contadina che merita di essere riscoperto e apprezzato.
In questo contesto si sviluppa una viticoltura accorta, dove quasi sei mila ettari vitati sono suddivisi in quattro valli principali, che portano il nome dei rispettivi corsi d’acqua da cui sono solcate e il cui sviluppo è tra loro parallelo, da sud-ovest a nord-est.
Il primo settore che si incontra scendendo la Via Emilia è quello della Val Tidone, dove si produce circa la metà del vino dei Colli Piacentini, seguito dalla Val Trebbia, dalla Val Nure e infine dalla Val d’Arda, rivolta verso Fidenza e seconda nella classifica di produttività.
L’orografia dei quattro distretti è sostanzialmente simile, anche se non mancano alcune importanti differenze a seconda dell’altitudine e della giacitura del territorio. Il peso della viticoltura è più forte prevalentemente lungo l’asse centrale del comprensorio, dove i terreni spaziano dalla roccia affiorante delle “Terre fossili del Piacenziano”, nella sezione a ridosso dell’area basso-appenninica della fascia più orientale della denominazione, alle “Argille della Val Tidone”, nella sezione mediana del lato più occidentale. A queste due formazioni ne va aggiunta una terza, fondamentale per lo sviluppo della viticoltura, rappresentata dalle “Terre rosse antiche”: una matrice pedologica presente indistintamente nella fascia pedecollinare delle quattro valli, costituita da terreni rossastri, ferrosi e poco calcarei, dalla tessitura limoso-argillosa.
LA STOPPA
Le prime notizie su La Stoppa risalgono alla fine dell’Ottocento, quando Emanuele Ageno, nobile e colto letterato di origini liguri, acquista alcuni poderi nei Colli Piacentini, tra la Val Trebbia e la Val Nure, nei comuni di Rivergaro e Vigolzone, sulle cosiddette “Terre rosse antiche”.
Su questi terreni, l’Avvocato Giancarlo Ageno, figlio di Emanuele, intraprende un’incessante attività di sperimentazione viticola, con il preciso scopo di esplorare le potenzialità del territorio, testando progressivamente numerosi vitigni di qualità, la maggior parte dei quali provenienti direttamente dalla Francia: tra i tanti, cabernet sauvignon, merlot, carmenere, marsanne e roussanne sono ancora oggi parzialmente presenti nelle vecchie vigne della tenuta.
Dopo la scomparsa del fondatore, nel 1949, l’azienda vive un ventennio interlocutorio, che si conclude nel 1972 con l’acquisto della proprietà da parte di Raffaele Pantaleoni, imprenditore tipografico piacentino con la passione per il vino, che prosegue nel percorso di studio sull’ambiente circostante, avvalendosi anche di consulenze illustri come quella con il professore Attilio Scienza.
Nel 1980 Raffaele Pantaleoni avvia la collaborazione con l’agronomo Giulio Armani, con cui inaugura un percorso gradualmente più legato alla valorizzazione del terroir, ulteriormente alimentato dall’arrivo in azienda di sua figlia Elena, nei primi anni Novanta.
Elena e Giulio scelgono dunque di espiantare tutti i vitigni precoci a vantaggio di quelli con maturazioni medio-tardive, investendo sempre più su varietà autoctone: barbera e bonarda sul versante dei rossi, malvasia tra quelle a bacca bianca. Allo stesso tempo, il loro percorso di crescita li conduce in direzione di una viticoltura più pulita, privilegiando una gestione agronomica ed enologica sempre naturale, abbandonando i fertilizzanti e i pesticidi in campagna e in cantina eliminando l’uso dei lieviti selezionati e delle macerazioni a freddo.
Un percorso dunque radicale, senza compromessi, esclusivamente finalizzato al massimo rispetto dell’ambiente, per una lettura più intima e più empatica del terroir; scelte che obbligano Elena e Giulio ad accettare talvolta qualche inevitabile compromesso, come gli sporadici arresti di fermentazione, il possibile insorgere di lieviti “convenzionalmente non graditi” e, in qualche caso, il possibile aumento dell’acidità volatile.
MACCHIONA
Il nome Macchiona, rigorosamente declinato al femminile, deriva dal toponimo di una piccola vigna nel comune di Rivergaro, da cui sono nate le prime versioni di questo vino, prodotto con ambizione a partire dal 1983 e divenuto negli ultimi anni il rosso di riferimento dell’azienda.
Si tratta di un’ideale riserva di Gutturnio - presentata sul mercato come Emilia igt - frutto di uve barbera e bonarda vinificate separatamente in vasche di acciaio e sottoposte a lunghe macerazioni che spesso superano i 30 giorni; la maturazione si svolge per un anno in botti di grandi dimensioni, dove decide in piena autonomia se svolgere o meno la fermentazione malolattica.
Dal punto di vista sensoriale, il vino nelle ultime edizioni si presenta con un leggero quanto costante residuo zuccherino e mostra un quadro olfattivo volutamente selvatico, in cui il carattere varietale delle singole uve (l’intensità fruttata della barbera e la florealità della bonarda) si alterna a sensazioni ematiche e a note di cuoio. In bocca è di norma energico, talvolta graffiante nel tannino e capace di esprimere sapore, contrasto e notevole grinta acido-sapida. È, dunque, un vino di carattere, vibrante e longevo, lontano da una scolastica precisione stilistica ma capace di trovare nel tempo una maggiore pacatezza e una godibile chiarezza espressiva, conservando comunque una sorprendente vitalità.
RINGRAZIAMENTI E PRECISAZIONI*
Un ringraziamento speciale va a Stefano Pizzamiglio dell’azienda agricola La Tosa, per la pazienza e la precisione con cui ha saputo rispondere alle mie domande su storia e suoli del comprensorio piacentino; all’amico Francesco Falcone, oramai punto di riferimento nel panorama giornalistico nazionale, per l’editing sopraffino; alla cara Elisa Tiberi per il supporto fotografico e la piacevole compagnia nella giornata trascorsa insieme sul territorio. (Nella foto 2, Giulio Armani)
*La mappa dei suoli è stata disegnata, con la precisione di sempre, dal “nostro” web designer Maicol Tonielli, ispirata dalla pubblicazione “ALLA SCOPERTA DELLE TERRE E DEI TESORI PIACENTINI” edita da “Strada dei Vini e dei Sapori dei Colli Piacentini”.
Il continuo girovagare per l’Italia del vino mi ha portato, sul finire dello scorso anno, a conoscere da vicino lo spirito guida di alcune aziende che da tempo alimentano il circuito del vino naturale, oggi più che mai al centro di un intenso dibattito critico tra operatori e appassionati.
Una di queste tappe ha visto coinvolta la nota cantina La Stoppa, da tempo indiscussa protagonista nel misconosciuto comprensorio dei Colli Piacentini: una visita che si è rivelata particolarmente proficua e che per questo ho voluto raccontare su Enocode.
Il racconto passa soprattutto attraverso una verticale di sei annate del rosso Macchiona, il vino con cui Elena Pantaleoni, la titolare dell’azienda, esprime la sua idea di territorio.
IL TERRITORIO
Dolci e curate, le colline che orbitano nei pressi della città di Piacenza riescono a contagiarmi ogni volta che ho l’opportunità di osservarle da vicino: l’atmosfera è serena, bucolica, avvolta da una quiete che è ormai raro scorgere nel resto del Paese.
Nessuna soggezione rispetto al vicino Oltrepò Pavese, al poco distante Tortonese e alle non lontane Langhe, ma una dignità contadina che merita di essere riscoperto e apprezzato.
In questo contesto si sviluppa una viticoltura accorta, dove quasi sei mila ettari vitati sono suddivisi in quattro valli principali, che portano il nome dei rispettivi corsi d’acqua da cui sono solcate e il cui sviluppo è tra loro parallelo, da sud-ovest a nord-est.
Il primo settore che si incontra scendendo la Via Emilia è quello della Val Tidone, dove si produce circa la metà del vino dei Colli Piacentini, seguito dalla Val Trebbia, dalla Val Nure e infine dalla Val d’Arda, rivolta verso Fidenza e seconda nella classifica di produttività.
L’orografia dei quattro distretti è sostanzialmente simile, anche se non mancano alcune importanti differenze a seconda dell’altitudine e della giacitura del territorio. Il peso della viticoltura è più forte prevalentemente lungo l’asse centrale del comprensorio, dove i terreni spaziano dalla roccia affiorante delle “Terre fossili del Piacenziano”, nella sezione a ridosso dell’area basso-appenninica della fascia più orientale della denominazione, alle “Argille della Val Tidone”, nella sezione mediana del lato più occidentale. A queste due formazioni ne va aggiunta una terza, fondamentale per lo sviluppo della viticoltura, rappresentata dalle “Terre rosse antiche”: una matrice pedologica presente indistintamente nella fascia pedecollinare delle quattro valli, costituita da terreni rossastri, ferrosi e poco calcarei, dalla tessitura limoso-argillosa.
LA STOPPA
Le prime notizie su La Stoppa risalgono alla fine dell’Ottocento, quando Emanuele Ageno, nobile e colto letterato di origini liguri, acquista alcuni poderi nei Colli Piacentini, tra la Val Trebbia e la Val Nure, nei comuni di Rivergaro e Vigolzone, sulle cosiddette “Terre rosse antiche”.
Su questi terreni, l’Avvocato Giancarlo Ageno, figlio di Emanuele, intraprende un’incessante attività di sperimentazione viticola, con il preciso scopo di esplorare le potenzialità del territorio, testando progressivamente numerosi vitigni di qualità, la maggior parte dei quali provenienti direttamente dalla Francia: tra i tanti, cabernet sauvignon, merlot, carmenere, marsanne e roussanne sono ancora oggi parzialmente presenti nelle vecchie vigne della tenuta.
Dopo la scomparsa del fondatore, nel 1949, l’azienda vive un ventennio interlocutorio, che si conclude nel 1972 con l’acquisto della proprietà da parte di Raffaele Pantaleoni, imprenditore tipografico piacentino con la passione per il vino, che prosegue nel percorso di studio sull’ambiente circostante, avvalendosi anche di consulenze illustri come quella con il professore Attilio Scienza.
Nel 1980 Raffaele Pantaleoni avvia la collaborazione con l’agronomo Giulio Armani, con cui inaugura un percorso gradualmente più legato alla valorizzazione del terroir, ulteriormente alimentato dall’arrivo in azienda di sua figlia Elena, nei primi anni Novanta.
Elena e Giulio scelgono dunque di espiantare tutti i vitigni precoci a vantaggio di quelli con maturazioni medio-tardive, investendo sempre più su varietà autoctone: barbera e bonarda sul versante dei rossi, malvasia tra quelle a bacca bianca. Allo stesso tempo, il loro percorso di crescita li conduce in direzione di una viticoltura più pulita, privilegiando una gestione agronomica ed enologica sempre naturale, abbandonando i fertilizzanti e i pesticidi in campagna e in cantina eliminando l’uso dei lieviti selezionati e delle macerazioni a freddo.
Un percorso dunque radicale, senza compromessi, esclusivamente finalizzato al massimo rispetto dell’ambiente, per una lettura più intima e più empatica del terroir; scelte che obbligano Elena e Giulio ad accettare talvolta qualche inevitabile compromesso, come gli sporadici arresti di fermentazione, il possibile insorgere di lieviti “convenzionalmente non graditi” e, in qualche caso, il possibile aumento dell’acidità volatile.
MACCHIONA
Il nome Macchiona, rigorosamente declinato al femminile, deriva dal toponimo di una piccola vigna nel comune di Rivergaro, da cui sono nate le prime versioni di questo vino, prodotto con ambizione a partire dal 1983 e divenuto negli ultimi anni il rosso di riferimento dell’azienda.
Si tratta di un’ideale riserva di Gutturnio - presentata sul mercato come Emilia igt - frutto di uve barbera e bonarda vinificate separatamente in vasche di acciaio e sottoposte a lunghe macerazioni che spesso superano i 30 giorni; la maturazione si svolge per un anno in botti di grandi dimensioni, dove decide in piena autonomia se svolgere o meno la fermentazione malolattica.
Dal punto di vista sensoriale, il vino nelle ultime edizioni si presenta con un leggero quanto costante residuo zuccherino e mostra un quadro olfattivo volutamente selvatico, in cui il carattere varietale delle singole uve (l’intensità fruttata della barbera e la florealità della bonarda) si alterna a sensazioni ematiche e a note di cuoio. In bocca è di norma energico, talvolta graffiante nel tannino e capace di esprimere sapore, contrasto e notevole grinta acido-sapida. È, dunque, un vino di carattere, vibrante e longevo, lontano da una scolastica precisione stilistica ma capace di trovare nel tempo una maggiore pacatezza e una godibile chiarezza espressiva, conservando comunque una sorprendente vitalità.
RINGRAZIAMENTI E PRECISAZIONI*
Un ringraziamento speciale va a Stefano Pizzamiglio dell’azienda agricola La Tosa, per la pazienza e la precisione con cui ha saputo rispondere alle mie domande su storia e suoli del comprensorio piacentino; all’amico Francesco Falcone, oramai punto di riferimento nel panorama giornalistico nazionale, per l’editing sopraffino; alla cara Elisa Tiberi per il supporto fotografico e la piacevole compagnia nella giornata trascorsa insieme sul territorio. (Nella foto 2, Giulio Armani)
*La mappa dei suoli è stata disegnata, con la precisione di sempre, dal “nostro” web designer Maicol Tonielli, ispirata dalla pubblicazione “ALLA SCOPERTA DELLE TERRE E DEI TESORI PIACENTINI” edita da “Strada dei Vini e dei Sapori dei Colli Piacentini”.