MARKO FON, IL DIRITTO DELLA PIANTA E LA PIÙ PICCOLA VIGNA DEL VECCHIO CONTINENTE
di FILIPPO APOLLINARI - 04 giugno 2020
Sono arrivato a Komen scortato dal tramonto, con il cielo tinto delle stesse tonalità rossastre della roccia sottostante. Ad aspettarmi in questo minuscolo villaggio del Carso sloveno Marko Fon, vignaiolo dalla sensibilità straordinaria, il cui approccio incarna la quintessenza dell’artigianalità.
Alcuni assaggi hanno accompagnato una lunga chiacchierata sul territorio e su quello che Marko definisce il “diritto della vite”, ovvero la necessità di dedicare a ciascuna pianta cure individuali.
La vendemmia di esordio di Marko risale al 1993, l’anno della scomparsa del padre, che nel 1989 aveva commercializzato la prima bottiglia. L’azienda possiede 3,5 ettari vitati sparsi in sei diversi paesi, per un patrimonio viticolo estremamente parcellizzato e di età raramente inferiore ai 45 anni di vita. Le vigne, inerbite, sono condotte senza il ricorso alla chimica e occupano piccole porzioni dell’altopiano carsico strappate alla macchia indigena.
Tra le sue vigne c’è probabilmente il più piccolo cru del Vecchio Continente, il cui nome, “4 STATI”, ricorda come questo angolo del Carso, nelle scorrere della storia, sia passato sotto il dominio di Austria, Italia, Jugoslavia e Slovenia. La vigna, piantata prima della Grande Guerra, dimora nel villaggio di Gorjansko e conta 353 piante, tra cui 349 di malvasia, 2 di vitovska, 1 di glera, 1 di sauvignon. È lavorata congiuntamente da Marko Fon e Marko Tavčar, che si spartiscono la produzione (circa 140 bottiglie a testa) dopo la vinificazione. La fermentazione si svolge in acciaio, solitamente a contatto con le proprie bucce (non nel 2019), per un periodo che può variare dai 2 ai 7 giorni a seconda del millesimo. L’affinamento del vino di Marko Fon si conclude in una damigiana di vetro.
Nei vini di Marko Fon si legge nitidamente l’anima del Carso, un territorio di confine, in bilico tra roccia e mare, tra luce e sale. Un territorio che ha la capacità di rimanere sospeso tra gli elementi costitutivi. Eredità che si ritrova nell’irrequietezza dI questi vini, costretti in uno stato di vibrazione permanente. Un urlo attenuato dall’innato senso di misura del loro interprete e di un luogo dove il tempo conserva ancora una dimensione rurale.
Alcuni assaggi hanno accompagnato una lunga chiacchierata sul territorio e su quello che Marko definisce il “diritto della vite”, ovvero la necessità di dedicare a ciascuna pianta cure individuali.
La vendemmia di esordio di Marko risale al 1993, l’anno della scomparsa del padre, che nel 1989 aveva commercializzato la prima bottiglia. L’azienda possiede 3,5 ettari vitati sparsi in sei diversi paesi, per un patrimonio viticolo estremamente parcellizzato e di età raramente inferiore ai 45 anni di vita. Le vigne, inerbite, sono condotte senza il ricorso alla chimica e occupano piccole porzioni dell’altopiano carsico strappate alla macchia indigena.
Tra le sue vigne c’è probabilmente il più piccolo cru del Vecchio Continente, il cui nome, “4 STATI”, ricorda come questo angolo del Carso, nelle scorrere della storia, sia passato sotto il dominio di Austria, Italia, Jugoslavia e Slovenia. La vigna, piantata prima della Grande Guerra, dimora nel villaggio di Gorjansko e conta 353 piante, tra cui 349 di malvasia, 2 di vitovska, 1 di glera, 1 di sauvignon. È lavorata congiuntamente da Marko Fon e Marko Tavčar, che si spartiscono la produzione (circa 140 bottiglie a testa) dopo la vinificazione. La fermentazione si svolge in acciaio, solitamente a contatto con le proprie bucce (non nel 2019), per un periodo che può variare dai 2 ai 7 giorni a seconda del millesimo. L’affinamento del vino di Marko Fon si conclude in una damigiana di vetro.
Nei vini di Marko Fon si legge nitidamente l’anima del Carso, un territorio di confine, in bilico tra roccia e mare, tra luce e sale. Un territorio che ha la capacità di rimanere sospeso tra gli elementi costitutivi. Eredità che si ritrova nell’irrequietezza dI questi vini, costretti in uno stato di vibrazione permanente. Un urlo attenuato dall’innato senso di misura del loro interprete e di un luogo dove il tempo conserva ancora una dimensione rurale.