NO CODE: IL VALORE AGGIUNTO E IL CAPITALE UMANO
di OFELIA BARTOLUCCI - 04 giugno 2016
Che non si dica che non ho detto
niente di nuovo: la disposizione delle materie è nuova BLAISE PASCAL
‘Ad esempio’ è il titolo di una tavola rotonda - a porte chiuse - tra amici-ricercatori nel campo della cultura.
Il gioco consiste proprio nel trovare esempi, format o modelli che siano replicabili e mutuabili in ambiti differenti e che portino a riflettere sul come avviene questa dinamica.
A turno ognuno si palesa con una questione aperta, con l’intento - a fine sessione - di avere ricostruito una sorta di mappa mentale.
Per i più audaci si paventa l’idea di espandere il proprio orizzonte, verso un confine più lontano da sé e più vicino all’altro.
Per altri… è una bella serata in compagnia di persone che vedi una volta all’anno.
Siamo qui a discutere sul valore aggiunto, su quella sottile differenza tra ciò che è immateriale eppure tangibile e ciò che è immaginario eppure ha un valore. Una sottile differenza che ci porta a fare vari esempi.
Ho in testa il progetto di Signficant Objects. Ve lo ricordate? Fu un caso importante nel mondo dello Storytelling. Nato con il chiaro intento di far lievitare il prezzo di vendita di 100 oggetti, facendo leva sul loro valore aggiunto.
Due scrittori americani - Rob Walker e Joshua Glenn - decidono di cimentarsi in un esperimento antropologico: scelgono 100 oggetti insignificanti, pagandoli per il loro valore intrinseco - parliamo di cianfrusaglia. A seguire improntano un’architettura narrativa per ogni oggetto in questione, con una storia tailor-made, redatta da vari autori.
Gli oggetti arrivano on-line, su ebay, con un’asta e un format di comunicazione che passa attraverso vari media. Per intenderci: la palla di pezza pagata 1 dollaro viene rivenduta a più di 50 dollari. La palla… è oscena , la storia geniale. Il valore aggiunto di 49 dollari erigeva la palla di pezza a icona e il valore immaginario aveva un valore paradigmatico in termine di narrazione.
Questo è facile come paradigma. Pensiamoci un attimo: tutti sappiamo - e ce lo diciamo pure - che oggi siamo noi stessi dei prodotti di consumo e la narrazione che abbiamo di noi, ciò che scegliamo è una parte di noi, la vita stessa che conduciamo - e spesso non vogliamo - è frustrante se non rispecchia coerentemente la nostra identità, se non costruisce quel valore immaginario e immateriale che ci colloca in un mosaico collettivo nel quale ci sentiamo riconosciuti.
E il vino? Il vino è uno degli esempi più gettonati alla tavola rotonda!
Uno di quei prodotti che genera un mercato culturale, a prescindere dal valore intrinseco del liquido contenuto nella bottiglia e si estende al di là degli esempi estremi dei top wines e dei vini concepiti come 'opere d’arte'. Il mercato del vino è un paradigma che disegna le linee culturali di un popolo, di un luogo e di un valore immateriale ma tangibile su scala economica, in quanto nel tempo è stato depositario di un capitale umano.
Un valore che altri settori della cultura osservano con attenzione in quanto ‘la creazione di un mercato culturale non è necessariamente portatore di un valore economico’ e quando questo non accade - ed è vero ancora in tanti ‘luoghi’ del vino - può forse significare che le nostre esperienze culturali non sono condivise da una collettività.
Il ‘bell’esempio’ serve solo se lo si segue, per dirci che è possibile e che riguarda anche parte della nostra storia.
Altrimenti l’orizzonte non sconfina...e la tavola finisce a tarallucci e vino.
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Fonti
Per il progetto di Significant Objects :
Per il valore dello storytelling:
Denning S., (trad.) Scoiattoli SpA: storie di noci e leadership, Etas, Milano, 2005.
Fabbri G., Societing. Il marketing nella società postmoderna, Egea, Milano, 2008.
Fontana A. Storyselling , Rizzoli Etas, 2010.
Un esempio di modello di distretto culturali in Italia, per un esempio sul capitale umano:
http://www.distretticulturali.it
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