PERCARLO, FATTORIA SAN GIUSTO A RENTENNANO. LA VERTICALE.
di FILIPPO APOLLINARI - 05 gennaio 2021
"Il silenzio è un omaggio che la parola rende allo spirito."
(Louis Lavelle)
Percarlo, le annate in degustazione:
1999, 2001, 2005, 2006, 2008, 2010, 2011, 2016.
(Louis Lavelle)
Percarlo, le annate in degustazione:
1999, 2001, 2005, 2006, 2008, 2010, 2011, 2016.
Il Percarlo dei Martini di Cigala è un vino che porto nel cuore. Un Sangiovese che si è conservato fedele al suo mandato originario, indifferente alle geometrie del gusto che all’inizio del nostro millennio caldeggiavano maggiori imbottiture di rovere e di frutto per poi, di recente, disconoscerle in favore di vini “asciugati” fino all’anemia. Questo non è accaduto a San Giusto, dove il percorso prosegue all’insegna del rigore, anche a rischio di risultare in controtempo, per un approdo definitivo che vede il Sangiovese farsi testimone di un rosso austero, carnoso e longevo.
Il contesto storico.
Tra la metà degli anni Settanta e i tre lustri successivi, in Toscana si avverte la necessità di ricercare nuovi modelli enologici. L’urgenza del comparto produttivo, o almeno di una quota illuminata di esso, è quella di uscire da una dimensione rurale, emancipandosi dalla mezzadria e realizzando vini che possano confrontarsi con i grandi terroir nazionali e internazionali.
Inizia così un ventennio di grande fermento che coinvolge tutta la regione, dalla costa all’entroterra. Un periodo che sarà ricordato come il Rinascimento del vino toscano (e di conseguenza italiano), durante il quale l’ambizione dei vignaioli è supportata da maggiori possibilità tecnologiche e da alcune esperienze seminali come quelle ormai celebri del Sassicaia dei Marchesi Incisa della Rocchetta a Bolgheri, del Chianti Classico Riserva Il Poggio del Castello di Monsanto di Fabrizio Bianchi e del Vigorello dell’azienda San Felice.
È nel solco di quei pionieri - oggi veri e propri archetipi - che fioriscono un po' ovunque nuove espressioni enologiche, talvolta mortificate in meri esercizi stilistici, talaltra sincere espressioni del legame vitigno-territorio; nella maggior parte dei casi destinate a consumarsi in poche edizioni, in qualche altro caso destinate a divenire grandi classici dell’enologia toscana.
Vini per i quali viene coniato l’idioma anglofono Supertuscan (opera del giornalista e Master of Wine inglese Nicholas Belfrage) che identificava grossomodo sia i rossi di ascendenza bordolese (nati nella scia del Sassicaia), sia quei vini che – ovunque in regione - non trovano asilo in alcun disciplinare di produzione ufficiale.
Un vero e proprio tsunami enologico, il cui sisma può essere fatto risalire alla vendemmia del 1968 (anno di rivoluzioni per antonomasia) e le cui onde investono buona parte del Paese.
Ad esempio il Sassicaia debutta sul mercato nel marzo del 1971 proprio con l’annata 1968 (che si sa essere un assemblaggio di più raccolte: secondo Cernilli 1966, 1967, 1968; secondo Falcone 1967,1968,1969), erigendo un ponte stilistico e ampelografico con Bordeaux e ponendosi come l’antesignano di quello che dalla fine degli anni Settanta diverrà il movimento viticolo bolgherese.
Il Poggio di Monsanto - la cui nascita risale al 1962 – nel 1968 abbraccia la via del sangiovese in purezza, rivendicando illegalmente una denominazione che fino alle modifiche del disciplinare del 2002 imporrà un assemblaggio di uve.
E mentre Fabrizio Bianchi sceglie una via carbonara per Il Poggio, nello stesso anno, a Castelnuovo Berardenga, Enzo Morganti e il maestro assaggiatore Giulio Gambelli creano il Vigorello, il primo di una lunga serie di Sangiovese in purezza del Chianti Classico fuori dalla tutela della denominazione d’origine ma dentro un’idea di vino strettamente legato al territorio; un ventaglio di proposte che spaziano dalle trasparenze de Le Pergole Torte di Montevertine alle profondità del Flaccianello della Pieve di Fontodi, dalle atmosfere sudiste del Fontalloro di Felsina alla carnosità del Percarlo di San Giusto a Rentennano, oggetto di questa retrospettiva.
Tutti vini che hanno accompagnato il mio percorso professionale, segnandolo ciascuno con il proprio carattere, un’impronta, una memoria.
Genesi e battesimo veronelliano.
Il Percarlo della Fattoria San Giusto a Rentennano, di proprietà dei fratelli Martini di Cigala nasce nel 1983, esordendo sul mercato nel 1985 con una tiratura di appena mille bottiglie. Ma già alla seconda uscita - quella della vendemmia 1985 (l’edizione del 1984 non vede la luce per un andamento climatico sfavorevole) viene subito proiettato tra i cult della rinascita chiantigiana.
Nel 1991 Luigi Veronelli, che ne aveva seguito la genesi, insiste per portare con sé qualche bottiglia dell’edizione 1985 in Germania, ad una degustazione “alla cieca” con tanti grandi vini d’Italia e di Francia e un florido parterre di giornalisti. Una scelta che viene ampiamente ripagata al momento della proclamazione della classifica finale, dove il Percarlo 1985 si piazza al secondo posto della batteria, a un’incollatura dal celebre bordolese Château Haut-Brion.
Da allora, millesimo dopo millesimo, il Percarlo ha continuato a consolidare il proprio valore, consacrandosi nel tempo come uno dei grandi Sangiovese di Toscana.
San Giusto a Rentennano: l’azienda.
L’azienda San Giusto a Rentennano è insediata nell’estremità meridionale di Gaiole in Chianti, in quel cono assolato che si incunea nel comune di Castelnuovo Berardenga. A dispetto dei profili nervosi e delle notevoli altimetrie che costeggiano a oriente i Monti del Chianti (tra 500 e 600 metri di quota), le vigne dei Martini di Cigala esaltano la mite dolcezza del settore più a sud del comune, dove le altitudini si abbassano fino ai 270 metri sul livello del mare e le esposizioni sono quasi sempre rivolte a mezzogiorno.
Condizioni che aprono a influenze mediterranee piuttosto che appenniniche, non dissimili in termini di luminosità e picchi di calura dal comprensorio di Montalcino, dal quale San Giusto differisce soprattutto per una maggiore escursione termica tra giorno e notte.
Il patrimonio viticolo dell’azienda San Giusto a Rentennano si estende oggi su trentuno ettari, condotti in regime biologico dal 2001 e con certificazione conseguita nel 2006. Il vigneto è integralmente dedicato al sangiovese ad eccezione di un ettaro coltivato a canaiolo, un ettaro e mezzo piantato a merlot e un ettaro e mezzo di uve bianche destinate al mellifluo e seduttivo Vin San Giusto.
Le piante, allevate a controspalliera e potate sia a guyot che ad alberello, affondano le radici in tre tipologie di suolo differenti: la metà della superficie è di matrice “tufacea”, ricca di sabbie plioceniche; un quarto da terreni di galestro e alberese; e la restante parte da lenti perlopiù argillose.
Il Percarlo è il risultato di una selezione delle migliori uve aziendali, raccolte a piena maturazione attraverso rese che non superano i 700/800 grammi per pianta. La superficie dedicata al Percarlo può variare di anno in anno, anche se normalmente è identificata in una decina di ettari che rappresentano una sintesi di tutte le ipotesi geologiche presenti a San Giusto.
La vinificazione si svolge per consuetudine in tini di cemento vetrificato e in vasche di acciaio, a cui sono stati affiancati (a partire dal 2018) alcuni tini di legno tronco conici della Mastrobottaio.
Le abitudini in fatto di macerazione sono cambiate dalla vendemmia 2004, passando da un periodo di contatto con le bucce di 18-20 giorni ai 35-40 giorni attuali. Ad ogni modo il cappello delle bucce non viene mai steccato ma solo dolcemente affondato per favorire un’estrazione il più possibile raffinata. La maturazione avviene in contenitori di legno per 24 mesi: un tempo si utilizzavano solo barrique e tonneau mentre a partire dalla vendemmia 2012 i fusti scelti sono di dimensioni maggiori, fino a contemplare botti da 30 ettolitri di Stockinger e Grenier.
LUCA MARTINI DI CIGALA, DEUS EX MACHINA DELLA FATTORIA SAN GIUSTO A RENTENNANO
La degustazione Dopo la retrospettiva dedicata al Fontalloro, lunga un quarto di secolo (che potete leggere qui), questa volta le mie attenzioni sono tutte per il Percarlo, un vino che per indole sta nella “terra di mezzo”, distante tanto dai vini tutto frutto e rovere degli anni Duemila, quanto da quelli anemici che riscuotono successo tra i degustatori dell’ultimissima generazione. Un esempio di coerenza stilistica e territoriale che ci svela il Sangiovese in una veste piena, appagante e insieme tonica, in qualche edizione persino ruvida, con un portamento mascolino e irrequieto, e una presa tannica “nebbioleggiante”. Un vino figlio di un territorio generoso e assolato, che ama dialogare con il tempo per concedersi lentamente.
*Nella sua storia il Percarlo non è stato prodotto nel 1984, nel 2000 e nel 2002.
**Tra le annate di cui conservo un ricordo luminoso e che non sono presenti in questa retrospettiva mi sento di citare la 1997, figlia di un millesimo che in Toscana - sulle prime battute - ha riscosso un successo straordinario e trasversale della critica, salvo poi scoprirsi, in più di qualche caso, destinato a correre velocemente in bottiglia. Non il Percarlo, la cui edizione è ancora oggi sugli scudi.
***La produzione totale annuale varia dalle 16.000 alle 20.000 bottiglie, a seconda delle condizioni climatiche e vendemmiali.
LA VERTICALE SI È SVOLTA PRESSO L'ENOTECA BURIOLI DI BUDRIO DI LONGIANO, FC.