POLIPHEMO IN VERTICALE, IL TAURASI SECONDO LUIGI TECCE
di VITALIANO MARCHI - 06 ottobre 2014
Direttamente dalla recente rassegna enoica “I Tre Giorni del Sangiovese” tenutasi a Predappio, vi proponiamo una verticale di sei annate di Poliphemo, il Taurasi secondo Luigi Tecce.
La degustazione, introdotta da Mauro Erro, profondo conoscitore del comprensorio irpino, con il prezioso supporto di Francesco Falcone, ci ha guidato alla scoperta di un grande vino di territorio, muscolare ma allo stesso tempo agile e guizzante, perfettamente in linea con lo spirito libero di chi lo produce.
IL TERRITORIO
Situato in provincia di Avellino, il territorio di produzione del Taurasi si identifica con la Valle del Calore, un nome suggerito dal fiume, il Calore Irpino, che ne solca il territorio. L’area interessata può contare su circa mille ettari vitati spalmati su diciassette comuni, tra cui spicca Taurasi, a cui si deve il nome di questa DOCG. Il comprensorio, caratterizzato da un terreno di origine prettamente vulcanica - siamo a due passi dal Vesuvio -, spazia da un’altitudine di circa 250 metri/slm ad un massimo di 700 metri/slm, cambiando la propria composizione a seconda della tipologia di “piroclasti” presenti (formazioni rocciose prodotte in fase di eruzione e ricche di diversi minerali).
Le scenografie di questo comprensorio rivelano una commistione di colture, in cui la vite, contrariamente ad altre zone vocate nazionali, non assume mai un ruolo predominante sulle altre coltivazioni.
La tipologia di allevamento originaria di questa zona è lo “starsete” o “alberata taurasina”,
una tecnica simile a quella della “vite maritata”, in cui vengono utilizzati pali o alberi (spesso di pioppo) a dare supporto alla pianta, in modo da sopraelevarne l’apparato fogliare e lasciare libero il terreno sottostante così da poterlo coltivare con ortaggi. Negli ultimi decenni si è passati a forme di allevamento più moderne, tra le quali il cordone speronato e il guyot, anche se gli “starseti”, alcuni dei quali secolari, rimangono molto diffusi e attualmente sono stati inseriti in un progetto di recupero dai produttori del comprensorio.
IL VITIGNO
L’indiscusso protagonista nella produzione del Taurasi è l’aglianico, una varietà ampelografica coltivata praticamente in tutto il meridione, in grado di esprimere, come pochi altri vitigni, le diverse specificità territoriali delle zone di coltivazione.
La maturazione tardiva (in genere la vendemmia si svolge da metà ottobre a metà novembre) e l’esuberanza polifenolica (si tratta di una varietà che tende a concentrare zuccheri, tannino e acidità), sono caratteristiche che fanno dell’aglianico un vitigno di non semplice gestione, sia in campagna, sia in cantina. Il produttore deve continuamente destreggiarsi tra i rischi legati alle variazioni climatiche autunnali e alla potenza strutturale di un vino che, se da un lato può regalare grande longevità e carattere attraverso lunghi affinamenti in legno, dall’altro può dare vita a vini “scorbutici” e privi di personalità.
Alla produzione del Taurasi possono concorrere per un massimo del 15% altri vitigni autoctoni a bacca rossa, tra cui Piedirosso e Coda di Volpe, anche se va detto che la maggior parte dei produttori è orientata alla vinificazione dell’aglianico in purezza.
LA STORIA
Probabilmente portato in Italia dagli antichi greci, se ne ritrovano diverse citazioni da parte di Orazio e Tito Livio, che ne tessero le lodi e ne decantarono a lungo la qualità, fino alla sua consacrazione definitiva avvenuta attorno al XII secolo durante gli anni delle dominazioni spagnole. Un millennio felice che anticipò un lungo periodo di oblio perdurato fino ai primi del novecento, quando la fillossera sconvolse le produzioni vinicole di tutta Europa, rallentando la propria corsa proprio nella Valle del Calore, per merito dei suoi terreni sabbiosi e vulcanici che inibirono il terribile parassita limitandone la diffusione.
Fu per questo motivo che intorno al 1930, grazie anche alla ferrovia costruita di recente e immediatamente ribattezzata “ferrovia del vino”, che Taurasi e i comuni limitrofi vissero un nuovo periodo di celebrità, con grandi quantità di vino esportato in Toscana, in Piemonte e a Bordeaux, utilizzato per “rimpolpare” le produzioni locali particolarmente provate dall’afide.
Nello stesso periodo nascono anche le prime aziende private anche se è solo verso la fine degli anni sessanta, successivamente al passaggio della fillossera, che per Taurasi inizia l’era moderna, sancita dall’ottenimento della DOC nel 1970 e della DOCG nel 1993. Un periodo che registra una vera e propria esplosione vitivinicola, con un numero di produttori che passa rapidamente da 10 a 80, con nuovi metodi di allevamento e con l’utilizzo di sistemi di vinificazione più moderni, non ultimo l’accantonamento dei legni di castagno in favore di rovere di Slavonia e francese.
IL PRODUTTORE
Luigi Tecce si avvicina al mondo del vino un po’ per caso e un po’ da predestinato.
Nasce negli anni ’70 da una famiglia di agricoltori di Paternopoli (un paese di 2500 anime), proprietari di una masseria in cui l’agricoltura e l’allevamento lasciavano poco spazio alla viticoltura. Crescendo, la voglia di un’affermazione individuale e una forte passione per la politica lo portano ad allontanarsi da casa e provare alcune esperienze lontano da quell’ambiente rurale che lo aveva visto nascere. Purtroppo o per fortuna, come spesso accade, le cose non vanno secondo i piani e dopo qualche delusione Luigi rientra a Paternopoli. Nel 1997 la perdita improvvisa del padre obbliga Luigi a doversi occupare della masseria senza avere alcuna esperienza in proposito.
E’ in questo periodo che, incuriosito dal fermento del comparto vitivinicolo e spinto da alcuni amici - uno dei quali gli regala alcune barriques per invogliarlo –, Luigi decide di avvicinarsi a questo mondo, al quale si presenta con in dote alcuni impianti a “starsete” di circa 80 anni.
Dopo un periodo di sperimentazioni e una passione travolgente, esordisce sul mercato con l’annata 2002, le cui uve provengono dai quattro ettari vitati di proprietà, lavorati senza l’utilizzo di concimi chimici e anticrittogamici.
Alla base del suo credo produttivo si cela un lavoro in vigna maniacale, con una scrupolosa selezione delle uve, frutto, in alcune vendemmie, anche di otto passaggi tra i filari. In cantina le fermentazioni si svolgono in tini aperti e sono indotte con lieviti indigeni; segue una “sfecciatura” in acciaio e un lungo affinamento in legni di diversa tipologia, variabili a seconda dell’annata. Così il suo Taurasi Poliphemo è arrivato a livelli di assoluta eccellenza.
Luigi Tecce rappresenta ad oggi un viticoltore “sui generis”, che rifiuta qualsiasi etichetta e strumentalizzazione, un po’ anarchico forse, ma con una grande passione che lo ha portato a ottenere risultati superlativi.
La degustazione, introdotta da Mauro Erro, profondo conoscitore del comprensorio irpino, con il prezioso supporto di Francesco Falcone, ci ha guidato alla scoperta di un grande vino di territorio, muscolare ma allo stesso tempo agile e guizzante, perfettamente in linea con lo spirito libero di chi lo produce.
IL TERRITORIO
Situato in provincia di Avellino, il territorio di produzione del Taurasi si identifica con la Valle del Calore, un nome suggerito dal fiume, il Calore Irpino, che ne solca il territorio. L’area interessata può contare su circa mille ettari vitati spalmati su diciassette comuni, tra cui spicca Taurasi, a cui si deve il nome di questa DOCG. Il comprensorio, caratterizzato da un terreno di origine prettamente vulcanica - siamo a due passi dal Vesuvio -, spazia da un’altitudine di circa 250 metri/slm ad un massimo di 700 metri/slm, cambiando la propria composizione a seconda della tipologia di “piroclasti” presenti (formazioni rocciose prodotte in fase di eruzione e ricche di diversi minerali).
Le scenografie di questo comprensorio rivelano una commistione di colture, in cui la vite, contrariamente ad altre zone vocate nazionali, non assume mai un ruolo predominante sulle altre coltivazioni.
La tipologia di allevamento originaria di questa zona è lo “starsete” o “alberata taurasina”,
una tecnica simile a quella della “vite maritata”, in cui vengono utilizzati pali o alberi (spesso di pioppo) a dare supporto alla pianta, in modo da sopraelevarne l’apparato fogliare e lasciare libero il terreno sottostante così da poterlo coltivare con ortaggi. Negli ultimi decenni si è passati a forme di allevamento più moderne, tra le quali il cordone speronato e il guyot, anche se gli “starseti”, alcuni dei quali secolari, rimangono molto diffusi e attualmente sono stati inseriti in un progetto di recupero dai produttori del comprensorio.
IL VITIGNO
L’indiscusso protagonista nella produzione del Taurasi è l’aglianico, una varietà ampelografica coltivata praticamente in tutto il meridione, in grado di esprimere, come pochi altri vitigni, le diverse specificità territoriali delle zone di coltivazione.
La maturazione tardiva (in genere la vendemmia si svolge da metà ottobre a metà novembre) e l’esuberanza polifenolica (si tratta di una varietà che tende a concentrare zuccheri, tannino e acidità), sono caratteristiche che fanno dell’aglianico un vitigno di non semplice gestione, sia in campagna, sia in cantina. Il produttore deve continuamente destreggiarsi tra i rischi legati alle variazioni climatiche autunnali e alla potenza strutturale di un vino che, se da un lato può regalare grande longevità e carattere attraverso lunghi affinamenti in legno, dall’altro può dare vita a vini “scorbutici” e privi di personalità.
Alla produzione del Taurasi possono concorrere per un massimo del 15% altri vitigni autoctoni a bacca rossa, tra cui Piedirosso e Coda di Volpe, anche se va detto che la maggior parte dei produttori è orientata alla vinificazione dell’aglianico in purezza.
LA STORIA
Probabilmente portato in Italia dagli antichi greci, se ne ritrovano diverse citazioni da parte di Orazio e Tito Livio, che ne tessero le lodi e ne decantarono a lungo la qualità, fino alla sua consacrazione definitiva avvenuta attorno al XII secolo durante gli anni delle dominazioni spagnole. Un millennio felice che anticipò un lungo periodo di oblio perdurato fino ai primi del novecento, quando la fillossera sconvolse le produzioni vinicole di tutta Europa, rallentando la propria corsa proprio nella Valle del Calore, per merito dei suoi terreni sabbiosi e vulcanici che inibirono il terribile parassita limitandone la diffusione.
Fu per questo motivo che intorno al 1930, grazie anche alla ferrovia costruita di recente e immediatamente ribattezzata “ferrovia del vino”, che Taurasi e i comuni limitrofi vissero un nuovo periodo di celebrità, con grandi quantità di vino esportato in Toscana, in Piemonte e a Bordeaux, utilizzato per “rimpolpare” le produzioni locali particolarmente provate dall’afide.
Nello stesso periodo nascono anche le prime aziende private anche se è solo verso la fine degli anni sessanta, successivamente al passaggio della fillossera, che per Taurasi inizia l’era moderna, sancita dall’ottenimento della DOC nel 1970 e della DOCG nel 1993. Un periodo che registra una vera e propria esplosione vitivinicola, con un numero di produttori che passa rapidamente da 10 a 80, con nuovi metodi di allevamento e con l’utilizzo di sistemi di vinificazione più moderni, non ultimo l’accantonamento dei legni di castagno in favore di rovere di Slavonia e francese.
IL PRODUTTORE
Luigi Tecce si avvicina al mondo del vino un po’ per caso e un po’ da predestinato.
Nasce negli anni ’70 da una famiglia di agricoltori di Paternopoli (un paese di 2500 anime), proprietari di una masseria in cui l’agricoltura e l’allevamento lasciavano poco spazio alla viticoltura. Crescendo, la voglia di un’affermazione individuale e una forte passione per la politica lo portano ad allontanarsi da casa e provare alcune esperienze lontano da quell’ambiente rurale che lo aveva visto nascere. Purtroppo o per fortuna, come spesso accade, le cose non vanno secondo i piani e dopo qualche delusione Luigi rientra a Paternopoli. Nel 1997 la perdita improvvisa del padre obbliga Luigi a doversi occupare della masseria senza avere alcuna esperienza in proposito.
E’ in questo periodo che, incuriosito dal fermento del comparto vitivinicolo e spinto da alcuni amici - uno dei quali gli regala alcune barriques per invogliarlo –, Luigi decide di avvicinarsi a questo mondo, al quale si presenta con in dote alcuni impianti a “starsete” di circa 80 anni.
Dopo un periodo di sperimentazioni e una passione travolgente, esordisce sul mercato con l’annata 2002, le cui uve provengono dai quattro ettari vitati di proprietà, lavorati senza l’utilizzo di concimi chimici e anticrittogamici.
Alla base del suo credo produttivo si cela un lavoro in vigna maniacale, con una scrupolosa selezione delle uve, frutto, in alcune vendemmie, anche di otto passaggi tra i filari. In cantina le fermentazioni si svolgono in tini aperti e sono indotte con lieviti indigeni; segue una “sfecciatura” in acciaio e un lungo affinamento in legni di diversa tipologia, variabili a seconda dell’annata. Così il suo Taurasi Poliphemo è arrivato a livelli di assoluta eccellenza.
Luigi Tecce rappresenta ad oggi un viticoltore “sui generis”, che rifiuta qualsiasi etichetta e strumentalizzazione, un po’ anarchico forse, ma con una grande passione che lo ha portato a ottenere risultati superlativi.