VERDICCHIO DI JESI, IL CANTICO DELLA FIGURA di ANDREA FELICI - MARCHE
di GIORGIO MELANDRI - 09 gennaio 2015
«I nun vogl' jì
America, pecchè nun ponno capì
st'America, e si fosse pè me
caccia 'a capa e nun vedè
e si fosse pè me
m'astrignesse pè sapè
e nun mme può dà
tutta 'nata storia»
Pino Daniele
st'America, e si fosse pè me
caccia 'a capa e nun vedè
e si fosse pè me
m'astrignesse pè sapè
e nun mme può dà
tutta 'nata storia»
Pino Daniele
Verdicchio di Jesi, ovvero una identità forte, in bilico tra la freschezza che naturalmente le colline jesine regalano e una ostinazione tutta marchigiana che insiste su surmaturazioni e inutili dolcezze.
Un storia che pian piano sta arrivando ad una sintesi grazie anche alle esperienze nuove dei vini naturali e a vini di straordinaria classicità come quelli di Leopardo Felici.
In mezzo ci sono visioni del mondo opposte, la gabbia del mercato presunto (quante vittime in questi anni!), la voglia di piacere a costo di rinunciare all’identità, l’incapacità di prendersi dei rischi.
In questo panorama Leopardo è un uomo importante, con i piedi per terra ma capace di sognare, consapevole della sua natura di marchigiano di campagna che ostenta quasi in un esercizio di snobismo riuscito fino ad ora solo a Marco Casolanetti.
Gente che ha visto il mondo ma che non lo sbandiera, saggiamente.
Il suo Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Riserva “Cantico della figura” è una tappa fondamentale del viaggio verso l’identità di questo territorio, un vino che rompe con certi schemi pesanti e, con una certa libertà, scrive TUTTA ‘NATA STORIA.
Poi, certo, per restare sulla citazione, c’è anche chi Pino Daniele non lo ha capito, ma in fondo questo fa parte del gioco, e se c’è tutta una retorica dei vini formali (e rassicuranti), che esalta le misure ingombranti dei vini anni ’90 e continua ad avere un seguito, è forse anche perché i Verdicchio si bevono troppo presto e le mille sfumature che i vini sottili riescono ad esprimere nel tempo non fanno parte delle esperienze di tanta gente.
Ecco invece, per riparare, una piccola verticale di Cantico della Figura, un verdicchio figlio delle colline alte di Apiro, nella parte della denominazione più addossata al monte Monte San Vicino, quasi 1500 metri di altezza e vista sull’Adriatico.