ROMAGNA. UN NUOVO RITRATTO
di OFELIA BARTOLUCCI - 20 gennaio 2021
‘Mi ha sempre affascinato l’idea che le parole – cariche di significato e dunque forza – nascondano dentro di sé un potere diverso e superiore rispetto a quello di comunicare e trasmettere messaggi, raccontare storie. L’idea cioè che abbiano il potere di produrre trasformazioni, che possano essere letteralmente, lo strumento per cambiare il mondo.’
Gianrico Carofiglio
Gianrico Carofiglio
La narrazione di un territorio - ma potremo dire in generale la narrazione - rivela il rapporto esistente con l’oggetto raccontato. Per quanto sia obiettivo il punto di vista o si cerchi di mettere a fuoco il paesaggio che si vuole ritrarre, l’autore finisce sempre per lasciare una traccia nella fotografia che sta scattando. Anche la sola inquadratura racconta chi è il fotografo, chi è il narratore.
Non solo.
Chi sceglie la foto, a sua volta, finisce magicamente in quel paesaggio, perché si sente attratto, corrisposto in quello che vede, nell’esperienza che fa. Questo perché in quella narrazione trova anche la risposta a una propria domanda.
Ci sono narrazioni che funzionano e altre no. Se la narrazione di una terra è autentica e coerente racconta il perché di chi la vive, i sogni e i progetti che la rendono speciale, sprigiona visioni ed esperienze che la rendono unica agli occhi di chi la guarda e di chi la scopre. E soprattutto genera valore, valore aggiunto.
Ci sono territori che hanno insita questa vocazione, perché nel tempo per fattori culturali, storici, economici e di terroir hanno creato una brand-land equity di grande successo.
Con Brand-land equity si definisce l’asset che tiene conto della notorietà di un territorio, della tipicità dei prodotti, della coerenza d’immagine percepita e del valore aggiunto che questo processo genera.
E a voi produttori, cosa interessa tutto questo?
Vi interessa molto, perché è in base ad una narrazione corale, d’orchestra che la vostra narrazione può divenire più forte e efficace. E, concretamente, la brand-land equity dice quanto appassionati e consumatori di vino siano disposti a pagare per fare questo tipo di esperienza, per comprare i vini del vostro (e nostro) territorio.
Per questo, con una sferzata di retorica che neanche mia nonna quando sgranava il rosario, mi chiedo:
Quali sono almeno 2 aggettivi che voi, produttori romagnoli, credete di poter condividere e avere in comune con gli altri produttori del territorio?
Perché la volontà di una narrazione d’orchestra parte da un comune denominatore, da un ponte invisibile fatto di valori e sogni che uniscono un obiettivo comune, più territori, ogni storia e ogni uomo. Provate a pensarci.
Immagine di copertina di Ofelia Bartolucci © Paolo Roversi.