TENERE IL PASSO - l'artigiano del vino e il passaggio generazionale
di OFELIA BARTOLUCCI - 15 settembre 2016
Il fil rouge sotteso alle nostre curiosità e degustazioni di settembre è questo:
il passaggio generazionale e la matrice dell'artigianalità.
E per passaggio generazionale intendiamo l'eredità consegnata ai figli.
O come accade, in molti casi, un' eredità conquistata, perché fatta di un'azione e visione differente rispetto ai padri e ai nonni. Un rifiorire in altro, un innesto con il futuro, preservando ciò che merita di essere tramandato e - al contempo - un desiderio di lottare con il preesistente che non parla più della nostra storia.
L'artigianalità del produttore: quello che alla mattina è in vigna, vive la cantina, si nutre di quel lavoro fisico che la natura gli concede e al quale lo costringe. E questo viene vissuto in maniera forte e in prima persona dal produttore.
Esattamente così. Un po' quello che accade al lavoro di bottega dove sin da piccoli si osserva, si pratica, si sperimenta, si fa.
Nella vita della grande azienda - se vogliamo trovare una differenza che non è però sempre valida - è che a volte questo passaggio avviene in maniera naturale, come una sorta di previsione imprenditoriale, predeterminata e programmata.
L'artigiano si trova tutto quel sturm und drang del futuro presente e passato sottopelle.
E se c'è una cosa interessante che risulta in questa dinamica dell'artigianalità nel vino è lo sfuggire a classificazioni di generazione X, con un profilo sociale ben dettagliato al quale forse tutti dovremmo farci qualche domanda e pensare a una sorta di ribellione.
Per intenderci: vent'anni fa uscì la definizione della generazione X che risulta essere la classe che va dal 1965 al 1980. La stessa generazione che in Francia fu definita Bof, una sorta di generazione del 'vabbeh', una generazione di sovraistruiti ma malimpiegati, che si è trovata ad essere classificata dopo i baby boomer nati nel dopoguerra e prima dei millenials.
Ecco, osservando questi produttori e pur sapendo che non si sfugge al mondo in cui si vive, qualunque sia il mestiere e il ruolo sociale, classificazione culturale e vocazione, trovo ancora una sorta di bellezza di rivoluzione, innesto che fatico a trovare in altri ambiti.
il passaggio generazionale e la matrice dell'artigianalità.
E per passaggio generazionale intendiamo l'eredità consegnata ai figli.
O come accade, in molti casi, un' eredità conquistata, perché fatta di un'azione e visione differente rispetto ai padri e ai nonni. Un rifiorire in altro, un innesto con il futuro, preservando ciò che merita di essere tramandato e - al contempo - un desiderio di lottare con il preesistente che non parla più della nostra storia.
Se c'è una matrice bella che appartiene all'artigianato e al mondo vitivinicolo è soprattutto questa.
È spontaneo confrontare annate, metodi e approci che nel tempo hanno costituito la storia di una famiglia e l'hanno anche cambiata. Tutto questo ha a che fare con l'identità e con una ricerca continua. Come se ogni produttore intimamente si ponesse questa domanda: "Parla di me questo vino? Parla della mia terra, di come vivo e di come la sento?"L'artigianalità del produttore: quello che alla mattina è in vigna, vive la cantina, si nutre di quel lavoro fisico che la natura gli concede e al quale lo costringe. E questo viene vissuto in maniera forte e in prima persona dal produttore.
Esattamente così. Un po' quello che accade al lavoro di bottega dove sin da piccoli si osserva, si pratica, si sperimenta, si fa.
Nella vita della grande azienda - se vogliamo trovare una differenza che non è però sempre valida - è che a volte questo passaggio avviene in maniera naturale, come una sorta di previsione imprenditoriale, predeterminata e programmata.
L'artigiano si trova tutto quel sturm und drang del futuro presente e passato sottopelle.
E se c'è una cosa interessante che risulta in questa dinamica dell'artigianalità nel vino è lo sfuggire a classificazioni di generazione X, con un profilo sociale ben dettagliato al quale forse tutti dovremmo farci qualche domanda e pensare a una sorta di ribellione.
Per intenderci: vent'anni fa uscì la definizione della generazione X che risulta essere la classe che va dal 1965 al 1980. La stessa generazione che in Francia fu definita Bof, una sorta di generazione del 'vabbeh', una generazione di sovraistruiti ma malimpiegati, che si è trovata ad essere classificata dopo i baby boomer nati nel dopoguerra e prima dei millenials.
Ecco, osservando questi produttori e pur sapendo che non si sfugge al mondo in cui si vive, qualunque sia il mestiere e il ruolo sociale, classificazione culturale e vocazione, trovo ancora una sorta di bellezza di rivoluzione, innesto che fatico a trovare in altri ambiti.